Respiro l’aria salmastra a pieni polmoni. Per un attimo mi sento a casa. La salsedine che si attacca alla pelle e alla barba ormai lunga, la lieve brezza marina che gioca con le ciocche dei miei capelli e il richiamo placido dei gabbiani, mi sono familiari come l’abbraccio di una moglie, il balbettare incerto di un figlio.
Cerco di scacciare questo pensiero, la mia sposa e il mio bambino lontani, una casa vera in cui non metto piede ormai da troppo tempo. Rivedo i loro visi, i capelli profumati di Penelope in cui affondavo le dita, gli occhi sorridenti del mio Telemaco quando sentiva la voce del papà. Ricordi dolci e dolorosi nello stesso momento…
Il richiamo acuto e improvviso di un gabbiano mi riporta di colpo al presente. Basta, ora la mia casa è questa: il pavimento in assi di legno consumate, il cielo stellato come soffitto notturno, le pareti disegnate dalle vele che si gonfiano al vento, il dondolio ritmico della nave.
In piedi a prua, scosto dagli occhi un ricciolo scompigliato dall’aria di mare e scruto l’orizzonte, cercando di distinguere qualcosa… Ancora niente, in lontananza aleggia una sottile foschia. Cosa nasconderà? Altre prove, pericoli, il conforto di uno sguardo amico? O forse, finalmente, il profilo irto della mia isola?
Meglio non farsi illusioni, per il momento. Distolgo lo sguardo dalla linea dell’orizzonte e fisso la sala dove è esposta la mia scultura, in questi giorni desolatamente vuota. Di solito qui si raduna un po’ di gente, come nell’agorà di una piccola cittadina: onde vive di persone che si infrangono contro la mia statua come sulla prua della nave.
Alcuni mi infastidiscono, mi camminano a fianco indifferenti, con la testa china sullo smartphone… A volte vorrei urlarlo, a quelle persone dallo sguardo perennemente fisso a terra: ma non la sentite la nostalgia per un orizzonte ampio? Alcuni mi osservano incuriositi dalla mia ricerca continua della patria a cui tornare; altri si fermano, come avvinti dal canto di sirene invisibili…
Li guardo fisso negli occhi e sento che in fondo siamo simili, che anche loro nel profondo stanno cercando qualcosa, chissà cosa… Sono loro il mio equipaggio, i compagni del mio lungo errare. Amici, vi aspetto, il nostro viaggio continua.
Mi sono immerso, è il caso di dirlo scrivendo di Odisseo, ancora una volta nell’Odissea.
Letta più volta negli ultimi 55 anni, dopo gli studi, mi rimetto al fianco del mitico navigatore e geniale personaggio creato da Omero.
Navigatore a vela dall’età di 13 anni, condivido il gusto della salsedine con il grande eroe stratega e padre di famiglia, allontanato dagli dei, come sempre colpevoli, dalla sua isola-patria.
Grazie per la lettura e le piccole verità, fuori dai denti, del figlio di Laerte.