«Eh, beati i tempi dell’antica Grecia, quando la politica non toccava lo sport e durante le Olimpiadi, addirittura, si sospendevano le guerre!»
Ogni volta che si svolgono le Olimpiadi moderne, prima o poi qualcuno dice questa frase e, nel caos dell’era moderna, cita come un Eden primigenio, e non toccato da sordidi maneggi, i bei giochi di un tempo in cui per un attimo, ogni quattro anni, in nome dello sport i Greci litigiosissimi smettevano di sgozzarsi fra loro e gareggiavano pacificamente con meraviglioso fair play. Peccato che sia uno stereotipo più falso di una moneta da tre euro.
Ogni volta che si svolgono le Olimpiadi moderne, prima o poi qualcuno dice questa frase e, nel caos dell’era moderna, cita come un Eden primigenio, e non toccato da sordidi maneggi, i bei giochi di un tempo in cui per un attimo, ogni quattro anni, in nome dello sport i Greci litigiosissimi smettevano di sgozzarsi fra loro e gareggiavano pacificamente con meraviglioso fair play. Peccato che sia uno stereotipo più falso di una moneta da tre euro.
Fin dalla loro fondazione i Giochi Olimpici furono una manifestazione intrisa di politica: furono palcoscenico internazionale per le beghe fra città e trampolino di lancio per una serie di aristocratici che, trionfando alle gare, iniziarono una carriera come tiranni. Fin dall’epoca arcaica, una gara vinta a Olimpia era il viatico migliore per ritagliarsi una posizione di prestigio nelle propria città. L’atleta di successo, infatti, diveniva una star. Quando ci si lagna degli attuali contratti miliardari degli sportivi, si dimentica che in Grecia i vincitori venivano cantati in poesie pagate dalle loro patrie e appositamente composte dai migliori poeti, e venivano mantenuti vita natural durante a spese dello Stato. Divenuti quindi i più noti personaggi della polis, molto spesso si davano alla carriera politica o ci provavano con risultati disastrosi.
Ad Atene, Sparta e Crotone non si contano gli atleti divenuti politici, con alterne fortune. Erano olimpionici Cilone, autore di uno sfortunato tentativo di colpo di Stato nell’Atene arcaica, ma anche Megacle degli Alcmeonidi, papà del Clistene che fu inventore della democrazia Ateniese e antenato di Pericle. A Crotone l’olimpionico Milone, campione di pugilato, divenne il genero di Pitagora, che era anche il suo allenatore, e capo delle truppe crotoniati contro Sibari. Altro olimpionico crotoniate, ma più sfortunato, fu Filippo di Butacide che di Pitagora fu invece avversario, e divenne la spalla e il vice del principe spartano Dorieo. La sfolgorante carriera dell’ateniese Alcibiade cominciò con le sue vittorie a Olimpia nelle corse dei carri, che erano le Ferrari dell’epoca ma anche l’unica gara in cui si concorreva per interposta persona, perché i carri erano condotti da aurighi, ma il premio veniva riscosso dall’aristocratico padrone della scuderia.
Dionisio I e la rivolta “anticasta”
Anche Dionisio I di Siracusa tentò la carta della vittoria nella corsa dei carri per accreditarsi come magnanimo protettore dei Greci e scrollarsi la fama di crudele tiranno. Proprio per questo nel 388 a.C. fu protagonista, invece, di uno degli episodi più politicamente connotati delle Olimpiadi antiche. All’arrivo della delegazione siracusana a Olimpia, il malumore serpeggiò fortissimo. I Siracusani, che venivano da una terra ricchissima, allestirono una tenda meravigliosa per ospitare Dionisio e gli atleti. Il tiranno, poi, che voleva accreditarsi anche come intellettuale, fece allestire spettacoli in cui poeti e artisti mettevano in scena tragedie e declamavano versi, alcuni dei quali composti anche da lui. Lo sfarzo e lo spreco infastidì il pubblico delle gare, non abituato a tanto lusso ostentato, e Lisia, oratore nato ad Atene ma di origine siracusana (il padre Cefalo era un ricchissimo fabbricante di armi che Pericle aveva convinto a trasferirsi al Pireo), ne approfittò immediatamente per pronunciare in pubblico un discorso in cui in pratica sobillò il pubblico a scagliarsi contro l’accampamento di Dionisio, facendo scempio di tende e arredi. Praticamente una rivolta anticasta e protogrillina.
Gli Ateniesi ghignarono soddisfatti: Dionisio era un loro nemico storico. Come alleato di Sparta li aveva malamente sconfitti nel corso della spedizione in Sicilia organizzata da Atene durante la guerra del Peloponneso, e ora cercava di diventare il punto di riferimento per i Greci soffiando ad Atene il monopolio di rotte commerciali importantissime in Adriatico e in Occidente. E il povero Dionisio non si riprese dalla mazzata: dopo essersi visto devastare la preziosa tenda, provò a rifarsi vincendo la gara dei carri ma la sua squadra finì fuori pista rovinosamente. I perfidi Greci commentarono a che portare iella agli atleti siracusani era stato proprio il tiranno con i suoi versi di incoraggiamento. Insomma, gli sms di Renzi non sono stati il primo caso di incitamento poco efficace da parte di un politico.
Per cui quando oggi ci scandalizziamo per gli atleti che si rifiutano di salutare i colleghi per motivi politici, o delle ripicche infantili fra Stati e delegazioni, non condanniamo gli atteggiamenti rifacendoci a una presunta correttezza e neutralità delle Olimpiadi antiche. Gli antichi erano uomini come noi, e anche alle Olimpiadi facevano ben di peggio.
0 commenti