Perché non parlare di audioarte? La provocazione è stata lanciata giorni fa da Andrea Castellanza di NWFactory.media al convegno di Macerata L’arte che parla. Un incontro dove il mondo dell’arte ha mostrato quanto stia puntando oggi sul sonoro come mezzo privilegiato di comunicazione. Quanto i nostri musei, un tempo regni della silente contemplazione delle opere, oggi siano invece ricchi di voci. E non solo voci di visitatori che discutono tra loro dell’arte e di quanto ispiri le loro vite. Anche voci, suoni e musiche prodotti dai musei stessi per raccontare l’arte, e per creare quell’atmosfera immersiva che ‘fa vivere’ l’arte per davvero.
Tecnologie diverse
Non importa quale tecnologia si utilizzi: audioguida, app, podcast, ambientazione sonora. Sono ovviamente strumenti che producono tipi di comunicazione diversi. Audioguide e ambientazioni sonore aiutano (e rendono immersiva) la visita in museo. Una app può fornire strumenti per la visita ma anche per esperienze di conoscenza prima e dopo. I podcast sono sassi lanciati nello stagno del mondo: possono essere funzionali alla visita ma anche partire dalle opere del museo per trattare temi diversi, e far capire a chiunque li intercetti nelle piattaforme (non solo i frequentatori di musei, quindi) che dai musei partono provocazioni capaci di farci ragionare a mente aperta sui temi caldi del nostro tempo.
Immersione totale
Tutti questi strumenti però, colpiscono nel segno solo se usati ‘ad arte’, cioè solo se sanno creare quell’atmosfera immersiva che, attraverso l’udito, riesce a stimolare l’immaginazione al punto che l’ascoltatore s’immedesima totalmente nella vita delle opere e dei musei. Non a caso si parla di ‘fluido ascolto profondo’: quel che ascolti ti penetra dentro così tanto che riesci a viverlo con tutti gli altri sensi. Opportunamente Castellanza ha parlato di “udito che attiva tutti gli altri sensi”. È tecnologia al servizio delle emozioni.
Ma per far volare l’immaginazione servono altissime professionalità che sappiano usare ‘ad arte’ tutti i linguaggi del sonoro – parole, rumori, soundscapes, musiche – e li sappiano fondere tra loro al meglio. La vera narrazione, quella che ti entra dentro, è fatta di un mix calibrato di tutti i linguaggi. Il racconto è parole compenetrate di suoni e musiche, e non è facile da realizzare.
Podcast narrativo
Tra le varie tecnologie, è indubbio che il podcast ha saputo spingere il racconto sonoro sempre più in là. Ha sperimentato e continua a sperimentare, puntando soprattutto sull’autenticità del podcaster che, con voce propria e lontanissima dall’asetticità dello speaker radiofonico, diventa amico di chi lo ascolta. Tra podcaster e ascoltatore si crea un’atmosfera veramente intima e di fiducia. Per questo nessun’altra tecnologia, al momento, sa giungere davvero dove arrivano i podcast.
Tuttavia i podcast hanno dato vita a quella formula, il cosiddetto ‘podcast narrativo’, che poi ha influenzato e rivitalizzato anche le altre tecnologie per i musei. Ricordate quando si diceva che l’audioguida è morta? Beh, è morta l’audioguida che presenta le opere in modo asettico e, diciamolo, noioso. Ma la soluzione non è arricchire la noia con ricostruzioni virtuali o altre tecnologie. È trasformare la noia in racconto. Dove, per esempio, il curatore stesso della mostra presenti le proprie scelte, costruendo così una sorta di dialogo con i visitatori. O i personaggi storici raccontino come hanno vissuto i fatti presentati in museo. O i visitatori stessi dicano senza ritrosie come vivono davvero l’arte.
Chiamiamola audioarte
Il podcast narrativo, e in generale la narrazione sonora, è giunto oramai a possedere caratteristiche proprie: ritmo, registro, lessico, durata, struttura, cornice narrativa. Ha insomma una struttura precisa e riconoscibile che però non lo ingabbia ma è aperta a sperimentazioni continue. La capacità immersiva del podcast narrativo spinge l’asticella sempre più in là. Perché dunque non lo chiamiamo per ciò che è, una vera forma d’arte? Perché, si sa, le cose esistono solo quando hanno un nome proprio. Se dunque parliamo da tempo di videoarte, ha detto Castellanza quel giorno a Macerata, perché non parlare anche di audioarte?
La provocazione di Castellanza è stata raccolta dall’archeologa Mariangela Catuogno che anima la rassegna Kepos ai Giardini La Mortella di Ischia. Giardini voluti da un compositore, William Walton, e dove ogni anno si tiene una stagione concertistica importante. Quale luogo migliore per continuare il discorso sull’audioarte?
L’appuntamento è giovedì 25 maggio alle ore 18.30 e sarà una vera sorpresa. Non si parlerà solo di audioarte ma anche di musica che trae ispirazione dall’arte: il maestro Federico Longo ha trascorso mesi all’interno di Galleria Borghese a Roma per percepire le vibrazioni che emanano dalle sue pareti e dalle sue opere, e le ha tradotte in musica. Un’originalissima opera site-specific che alla Mortella potrà solo raccontare. Ma è racconto che fa letteralmente tremare di meraviglia.
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