Roma, Parco di Centocelle: ora c’è la fermata della Metro C a fissare il nome del parco nella mente di tutti i Romani. Parco, una cosa bella associata al nome del quartiere di Centocelle, non il rogo del camper di Rom di due settimane fa. Beh, i Rom stavano anche nell’attuale parco e c’era addirittura il campo nomadi più grande d’Europa, il Casilino 700. Ma è stato sgombrato già nel 1999, e dieci anni dopo anche il secondo campo che nel frattempo era risorto, nonché un altro lì vicino, il Casilino 900. Mentre il Parco esiste dal 1994, benché pochi se ne siano accorti. Anche oggi è una landa desolata grande quanto Villa Borghese, priva di viali, giochi, panchine, illuminazione. “E’ la prima volta che ci vengo. Qui è pericoloso”, dice una signora nata e cresciuta proprio a Centocelle. I residenti, insomma, non usano il proprio Parco.
Il vincolo
Quel giorno però la signora aveva osato varcare i cancelli per ascoltare da Patrizia Gioia, archeologa della Sovrintendenza comunale, il racconto della storia dell’area e degli scavi archeologici fatti negli anni Novanta. Perché se il Parco oggi esiste, anche se malconcio, è merito dell’archeologia. Merito del vincolo posto nel 1992 dall’allora Soprintendente archeologo di Roma Adriano La Regina, che bloccò i progetti di urbanizzazione dell’area: secondo il Piano regolatore del 1962, lì doveva nascere il cuore pulsante dello SDO, Sistema Direzionale Orientale, il centro direzionale periferico cittadino. La ‘Dèfense de noantri’, per intenderci. Mai decollata.
Gli scavi archeologici
Però gli scavi hanno rivelato una storia lunghissima a partire dal VI secolo a.C. quando c’erano già case piuttosto raffinate. Dell’età repubblicana sono stati trovati depositi con belle ceramiche da banchetto, e dal III secolo a.C. cominciarono a sorgere le ville, che in età imperiale diventarono immense con tanto di teatri privati, terme, piscine grandi come quelle olimpioniche odierne. Si estendevano per un ettaro ciascuna, ed erano proprietarie di terreni coltivati a vigneti e alberi da frutto. Nell’area del Parco ne sono state trovate tre, chiamate oggi Villa della piscina, Villa Ad duas lauros, e Villa delle terme, tutte rimaste in vita fino alla tarda antichità. Della Villa delle terme, defilata rispetto alle altre due, si conservano bei pavimenti a mosaico e tutto l’alzato. Mentre le altre sono state purtroppo quasi rase al suolo negli anni Venti del Novecento.
Le prove di volo e l’aeroporto
Aeroporto Francesco Baracca, il primo aeroporto d’Italia. È sorto proprio lì nel 1923, in quel pratone immenso e ventilato, perfetto per gli aerei di allora. Era stato usato già nel 1909 da Wilbur Wright per dimostrazioni di volo con il suo Flyer, che poteva partire dalla “collinetta dei ruderi” (proprio così l’hanno chiamata) nel mezzo del pratone. Mentre nel 1923 serviva il pratone intero per fare la pista, e addio collinetta (e non solo quella: anche un paio di mausolei e parecchio altro). L’aeroporto ha funzionato fino agli anni Sessanta, quando è stato spostato a Ciampino. L’area è stata ceduta al Comune ma una parte è ancora di proprietà dell’Aeronautica militare che vi ha da poco costruito nuovi palazzi per uffici che incombono da un lato sul parco. Mentre un altro lato è il regno degli sfasciacarrozze abusivi. Un terzo di campi sportivi, anch’essi abusivi. Insomma anche ai bordi del Parco, la situazione non è rosea.
Il (mai decollato) Parco di Centocelle
In passato, però, si sono fatti grandi progetti. Nel 1996 fu bandito persino il concorso internazionale ‘100 idee per Centocelle’, e i 144 progetti presentati andarono in mostra nel 1998 a Palazzo delle Esposizioni. Fu allora che si decise di sgomberare il campo nomadi, di fare la recinzione del parco e, al suo interno, delle aree delle ville antiche. Ma un accenno di sistemazione del parco vide la luce solo nel 2006 (abbandonato già nel 2008 e da allora vandalizzato), mentre i progetti di valorizzazione delle ville non sono mai decollati. Ora pare che i 2,3 milioni di euro chiesti per la musealizzazione della Villa della piscina – scelta come area ‘pilota’ per realizzare poi sull’esempio anche il resto – siano finalmente disponibili. E studenti di architettura dell’Università di Roma ‘La Sapienza’ hanno già predisposto un progetto per la visita ai pochi resti della villa, e per un museo che raccolga i molti e preziosi oggetti emersi dagli scavi. Hanno anche disegnato nuovamente tutto il Parco, costruendo viali che ripercorrono le vie antiche e collegano le ville tra loro. Hanno fatto insomma una bella operazione di archeologia del paesaggio e recupero del paesaggio antico. Dovrebbe essere accolta e attuata, perché un’azione sulla sola Villa della piscina rischierebbe di rimanere troppo isolata per sopravvivere. Ora il parco è pressoché deserto, popolato quasi solo da appassionati di aeromodellismo che usano la vecchia pista dell’aeroporto per le prove di volo. Senza una volontà forte di trasformare realmente tutta l’area, anche quei 2,3 milioni di euro rischiano di essere sprecati per una bella cattedrale in mezzo al degrado. E sono una somma ingente.
La forza della Comunità
C’è però anche chi non si è arreso al degrado, e da un anno lavora per asportare i rifiuti e rendere accessibile almeno un angolo di parco. È il gruppo di cittadini raccolto intorno alla Comunità Parco Pubblico di Centocelle che stanno facendo di tutto per portare i cittadini al parco, nella giusta convinzione che più persone lo frequentano, minori sono le probabilità di usi impropri. Fanno monitoraggio del territorio e denunciano alle autorità ogni abuso o illecito. Organizzano incontri, giornate di gioco e didattica per adulti e bambini, lavori collettivi su orti comuni, pulizie collettive. Si sono concentrati nell’area di fronte alla fermata della Metro C, dove due famiglie Rom si sono insediate in un distributore Agip abbandonato. Sono abusivi, certo, ma hanno di fatto scelto la sedentarietà, e sono stati loro i primi a ripulire il distributore e l’area intorno: ora è di fatto un bel giardino con vialetti, dominato dalla cosiddetta ‘Osteria di Centocelle’, forse un antico ninfeo.
“Prima l’Osteria non si vedeva quasi più, coperta com’era da vegetazione e rifiuti. Ora potrebbe accogliere degnamente i visitatori usciti dalla metropolitana, ed essere la via privilegiata di accesso al parco. Le famiglie Rom potrebbero esserne i custodi”, racconta Alessandra Noce, anima della Comunità. Sì, è proprio così. Gli ostacoli da superare sono moltissimi, ma merita tentare. Pare quasi una via più facilmente percorribile rispetto al museo faraonico alla villa antica. In realtà, però, le due realtà avranno successo solo se sopravviveranno entrambe. La grande valorizzazione e la partecipazione civica: l’una serve all’altra. E il parco serve alle migliaia di persone che vi abitano intorno. È un polmone verde indispensabile.
Forza Patrizia, forza Alessandra, tenete duro! E forza a tutti quelli (speriamo sempre più) che vi supportano e vi vorranno supportare.
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