Molteplici sono le donne che nel corso della storia hanno fatto la differenza.
Molteplici sono le donne che hanno vissuto la loro vita come una battaglia.
Molteplici sono le donne che non sono state zitte sottostando alla società in cui vivevano. Di molte si parla, di molte altre no.
Alcune sono ricordate per le loro conquiste. Alcune appellate come eroine, altre semplicemente come mogli di qualcuno.
Lei era un’eroina, anche se quasi nessuno lo sa. Cresciuta dovendo stare alle decisioni del padre Claudio che in giovanissima età la diede in sposa al piccolo Nerone, allora solo quattordicenne. Così passò dal vivere una vita decisa dal padre a una all’ombra del marito, che ben presto divenne imperatore.
Fin da quando era piccola la notai diversa dalle altre fanciulle. Si mostrava curiosa di qualsiasi cosa, qualsiasi leggenda o favola le raccontassi, o luogo che la portassi a vedere, o musica che le fosse possibile udire a palazzo. Passava le giornate a guardarsi attorno e chiedersi il perché di ciò che vedeva, a palazzo o mentre camminavamo per il foro, nei pomeriggi primaverili.
Già da giovanissima si chiedeva perché dovessimo vivere in una società così disuguale, e dovessimo dipendere da un uomo per la vita. Mi chiedeva di spiegarle, di far capire anche a lei, ma non avevo modo di farlo, perché io stessa sono stata cresciuta con la ricorrente frase di mia madre “è così e basta” con cui chiudeva ogni conversazione.
Ma con Ottavia non era possibile chiudere in questo modo una conversazione perché aveva già pronta la domanda seguente. Si chiedeva perché un giovanotto potesse per tutta l’infanzia attendere il momento di diventar grande per vivere da signore, e invece una fanciulletta no perché alla fine il sogno più ambizioso poteva solo essere quello di affiancare un uomo per il resto della vita, sempre detto che si riuscisse a maritare. Si chiedeva perché un uomo poteva esprimersi e prendere parte alla vita pubblica, e invece a una donna spettava solo di badare ai figli e gestire la casa.
Ottavia si interrogava su tutti questi perché. Era tormentata da queste ingiustizie di cui si sentiva vittima. Una volta mi disse addirittura che, seppur non avesse molta stima del giovane marito, lo invidiava per aver avuto la possibilità che a lei non era stata data, quella di prendere in mano la propria vita.
La piccola Ottavia non si meritava un tale destino e, nonostante fosse cresciuta, aveva ancora molte domande a cui trovare risposta. Anche crescendo, e pur vivendo una vita così sacrificata e assistendo a cose atroci, il suo giovane animo rimase puro come quando aveva nove anni.
Rammento di alcune giornate buie a palazzo. Era avvenuta una tragedia in città: il nobile Pedanio era stato ucciso da un servo in una contesa amorosa. Secondo le leggi durissime di Roma, però, non solo colui che compie l’omicidio ma anche tutti gli schiavi della domus devono subire la stessa punizione, poiché non sono stati in grado di proteggere il proprio padrone. In seguito alla morte di Pedanio, quindi, la condanna a morte incombeva su quattrocento schiavi.
L’animo di Ottavia era inquieto, affranto e tormentato, dovendo lei assistere a un tale massacro senza poter fare nulla per cambiare la decisione che il marito stava per prendere. Mai infatti aveva avuto modo di parlare con il marito, quando si trattava di prendere una decisione.
Un giorno però, poco dopo l’omicidio, iniziarono ad arrivare a palazzo le donne che abitavano la domus di Pedanio, mogli di coloro che stavano per essere uccisi in massa. Più ne facevo entrare, più ne arrivavano. Erano in lacrime dalla prima all’ultima, e si trascinavano lentamente per giungere dall’imperatrice. Per le camere e per i corridoi del palazzo si sentivano lamenti e singhiozzi, si sentiva la sofferenza di donne che stavano ricorrendo alla loro ultima speranza: la giovane Ottavia. E lei le riceveva ad una ad una, nel tentativo di confortarle.
Povera fanciulla, tanto giovane e tanto matura. Si fece carico di ogni singola sofferenza di quelle donne. Non poteva però stare solo a guardare, non poteva permettere a se stessa di vedere tante lacrime senza provare in alcun modo ad alleggerire il fardello di coloro che avevano riposto in lei tanta speranza. Mise quindi da parte il timore e promise di parlare con il marito per provare a influenzare quella che era ormai una decisione imminente.
Per la prima volta, allora, Ottavia prese pubblicamente posizione. Per la prima volta la vidi diventare adulta e lottare non solo per quelle donne e per quegli schiavi ma per tutte le ingiustizie che aveva visto compiere, per tutte le volte che non le era stato permesso di esprimere un giudizio.
Ottavia discutè a lungo con il marito prima che lui si recasse alla Curia, per prendere la decisione tanto temuta insieme ai notabili della città. Ripose tutta la sua speranza nelle parole che disse a Nerone durante quelle ore, e per la prima volta si trovò a confrontarsi con lui, a esporgli i propri pensieri, ad aprirsi con lui.
Purtroppo questo non fu abbastanza per convincerlo a mettersi contro il giudizio di tutti i signori romani e i senatori. Non salvò le vite di quei poveri schiavi. Mostrò però per la prima volta la vera Ottavia alla città, al popolo che iniziò ad amarla e ad acclamarla nelle piazze. E lei iniziò, ormai tardi, a vivere una vita dignitosa, la vita che si meritava, ma che non è durata abbastanza…
Questa città crudele, questa società crudele, questo marito crudele non la meritavano perché l’hanno uccisa, ingiustamente, come molte prima e dopo di lei. Solo perché non andava bene a loro; solo perché non ha dato figli a un uomo che non amava; solo perché non ha accettato di vivere come le era stato imposto.
Solo perché ha deciso di vivere la vita come la sognava da bambina. Per questo è stata uccisa, così indegnamente. E io, sua nutrice, che avrei dovuto chiudere gli occhi prima di lei, sono ancora qui. A ricordarla.
Cecilia Mazza, classe II E Liceo Classico Pilo Albertelli
Bibliografia:
Liliana Madeo, Ottavia. La prima moglie di Nerone, Oscar Mondadori, Milano 2006.
Eva Cantarella. Giulio Guidorizzi, Oriente Occidente, vol.2, Mondadori Education, Milano 2018.
Grazie ancora Cinzia per la sensibilità verso il nostro lavoro e per la cura nel presentare i lavori dei ragazzi.
Un saluto da tutti gli Albertelliani
Michela Nocita