Pare che nel Paleolitico gli animalisti non esistessero ancora. Altrimenti, chissà in quanti sarebbero scesi in piazza per salvare l’ orso delle caverne dall’estinzione! Invece sembra che gli ultimi superstiti di questa specie si siano estinti nelle grotte intorno a Vicenza perché incapaci di adattarsi al clima rigido del Paleolitico Superiore. Ma anche perché l’uomo li ha cacciati per migliaia di anni!
Orso delle caverne: un gigante buono
Andiamo con ordine. L’Ursus spelaeus, meglio conosciuto come orso delle caverne, non era certo un animaletto da portare al guinzaglio: con i suoi 1,5 m di altezza al garrese e 3,5 metri di lunghezza, sarebbe stato un po’ problematico. Di una specie differente rispetto all’orso bruno e marsicano che abita attualmente i nostri territori, l’orso delle caverne viveva in Europa già 400.000 anni fa.
Nonostante l’aspetto imponente, non era affatto un pericolo per l’uomo: studi paleobiologici sugli isotopi delle ossa hanno dimostrato che seguiva una dieta totalmente vegana – ben prima che iniziasse a essere una moda – basata su erbe e germogli. Insomma era un gigante buono. Ma, si sa, nel Paleolitico non si buttava via niente! Tuttavia una domanda sorge spontanea: quando esattamente l’uomo è stato in grado di cacciare un’animale come questo?
Caccia grossa
Non è domanda facile, ma in questo caso siamo stati fortunati grazie a un’analisi lunga e minuziosa effettuata sui grandi accumuli di ossa di orso trovati in due importanti siti delle Alpi italiane: la Grotta di Fumane sui Monti Lessini (VR) e la Grotta del Rio Secco sull’Altopiano di Pradis (PN). Gli archeozoologi dell’Università di Ferrara, del Museo Nazionale Preistorico ‘Luigi Pigorini’ di Roma e del MUSE di Trento hanno scoperto che tra le ossa provenienti dalle unità stratigrafiche associabili all’uomo di Neandertal, moltissime presentavano tracce di macellazione (cut-marks, in gergo).
I cut-marks sono il pane quotidiano di ogni archeozoologo: la loro presenza in alcune porzioni specifiche dello scheletro (in questo caso le falangi, le costole e i femori) è rivelatrice di azioni altrettanto specifiche effettuate sul corpo dell’animale cacciato. Azioni fatte dall’uomo con gli strumenti a sua disposizione.
Così si è dimostrato per la prima volta che già l’uomo di Neandertal cacciava sistematicamente l’orso delle caverne, probabilmente per ricavarne carne e midollo per l’alimentazione, e pelliccia per difendersi dal freddo. Una scoperta importantissima! E confronti etnografici danno credito all’ipotesi che la caccia avvenisse alla fine dell’inverno, mentre l’orso era ancora in letargo.
Infinite domande
Ma ogni singola scoperta dà vita a mille altre domande: è questo il bello dell’archeologia. Grazie a studi paleogenetici, si è visto che la popolazione di orso delle caverne ha subito un grave calo numerico già 50.000 anni fa, quando l’uomo anatomicamente moderno cominciava a rimpiazzare i Neandertal. E che in numerose regioni europee a nord delle Alpi l’estinzione definitiva è avvenuta molto prima dell’Ultimo Massimo Glaciale, ossia dell’ultima vera e propria glaciazione che portò un generale peggioramento delle condizioni climatiche tra 28.000 e 20.000 anni fa.
Così le domande si accavallano: è stata l’intensiva attività di caccia da parte dell’uomo a determinare l’estinzione dell’orso delle caverne? E se sì, quale delle due specie umane è maggiormente responsabile? E quando è avvenuta esattamente l’estinzione?
Un’equipe internazionale di archeozoologi e paleobiologi si è data parecchio da fare per cercare delle risposte: hanno collaborato ricercatori dell’Università di Tübingen (Germania) e, ancora una volta, dell’Università di Ferrara grazie al coordinamento di Marco Peresani e di Gabriele Terlato, assegnista di ricerca responsabile dello studio delle ossa di orso provenienti dalle grotte di Paina e di Trene (Colli Berici, Vicenza).
Gli ultimi
I risultati sono stati sorprendenti. Analizzate con il metodo del radiocarbonio, le ossa delle grotte vicentine hanno restituito una datazione di 23.500 anni fa, in piena Era Glaciale: ciò vuol dire che gli ultimi esemplari europei di orso delle caverne hanno vissuto proprio in Italia, nelle grotte del territorio vicentino.
Inoltre, l’analisi degli isotopi presenti all’interno del collagene estratto dalle loro ossa, ha rivelato che anche gli orsi dei Berici si nutrivano di vegetali, esattamente come gli individui vissuti (ed estinti) prima di loro. E le numerose tracce di macellazione sulle ossa hanno consentito di associare l’attività di caccia dell’Ursus spelaeus non più solo all’uomo di Neandertal ma anche a Homo sapiens del Paleolitico Superiore.
Non è ancora chiaro perché gli ultimi esemplari di orso delle caverne siano sopravvissuti proprio in questa zona dell’Italia settentrionale: probabilmente grazie a una maggiore disponibilità di risorse. Tuttavia, la ricerca ha reso ora finalmente possibile la formulazione di ipotesi sui motivi che hanno determinato la sua estinzione.
L’analisi isotopica ha mostrato che, a causa della sua dieta esclusivamente vegetariana, l’Ursus spelaeus non aveva la struttura fisica per resistere alle rigide temperature dell’ultima glaciazione. Ma il processo è stato sicuramente accelerato dall’attività di caccia intensa e sistematica messa in atto dall’uomo – testimoniata dalle numerose strie di macellazione osservate sulle ossa – sin dai tempi dei Neandertal.
Si tratta indubbiamente di una grande soddisfazione per l’Università di Ferrara e per gli archeologi coinvolti nelle ricerche, che è valsa una pubblicazione sulla rivista internazionale Historical Biology. Per saperne di più, è possibile leggere l’articolo scientifico: Terlato, G., Bocherens, H., Romandini, M., Nannini, N., Hobson, K.A., Peresani, M., 2018. Chronological and isotopic data support a revision for the timing of cave bear extinction in Mediterranean Europe. Historical Biology DOI: 10.1080/08912963.2018.1448395.
Le responsabilità dell’uomo
In un periodo in cui sempre più persone – ma non tutte – sono attente al rapporto con la natura, la ricerca offre anche un importante spunto di riflessione su quanto le condizioni ambientali possano influire su un’intera specie, e su come le azioni dell’uomo, anche se apparentemente poco influenti, possano invece a lungo andare avere delle serie ripercussioni sulle altre specie, animali o vegetali che siano.
L’archeologia si occuperà pure di cose vecchie e polverose ma, ricostruendo la vita dei nostri antenati, fornisce importanti argomenti di discussione su tematiche attualissime. E grazie alla cooperazione dei ricercatori, ognuno specializzato nel proprio settore, il caso ‘orso delle caverne’ è stato finalmente risolto!
Quali studi? Dubito che un animale di tale stazza fosse vegetariano….