Le didascalie dei musei parlano anche a chi non sa nulla di archeologia?
Il programma Archeoparole parte da questa domanda. Parte dalla consapevolezza che, mentre un archeologo si diverte a osservare con interesse ogni fistula plumbea, ogni coppa Dragendorff in terra sigillata, ogni piccolo frammento di skiphos in vetro perché già ne conosce la storia, i non addetti ai lavori vedono solo oggetti vecchi e rotti con didascalie iperspecifiche che a loro non hanno nulla da dire.
Questo perché noi archeologi siamo un po’ come… dei nerd. Siamo così appassionati del nostro lavoro e fieri del nostro linguaggio specialistico, che spesso ci dimentichiamo di raccontare gli oggetti di cui ci occupiamo in modo comprensibile a chi non ne sa nulla. Il che non significa banalizzarli, ma più semplicemente permettere anche alle persone che non praticano il nostro stesso mestiere di entrare nel nostro mondo, e guardarlo come noi lo vediamo, con gli occhi che brillano e la consapevolezza che proprio quelle cose che noi studiamo, dai nomi strani e che a volte appaiono addirittura di scarso valore, raccontano invece la storia, gli stili di vita, i sistemi economici e i pensieri di chi le ha prodotte e usate. Proprio come gli oggetti di cui ci circondiamo oggi raccontano le nostre, di abitudini e storie.
Nasce Archeoparole
La sfida di Archeoparole è raccontare, attraverso i podcast, alcune delle parole ‘difficili’ dell’archeologia. Ogni due settimane, Chiara Boracchi proverà a riportare in vita sulla piattaforma Spreaker chi ha calcato questa terra prima di noi attraverso i nomi degli oggetti che usava ogni giorno, e che noi oggi vediamo e apprezziamo nelle teche dei musei.
Obiettivo: far brillare gli occhi a tutti i visitatori e non solo agli archeologi.
Che dite, ce la faremo?
Ascolta “00 – Archeoparole, o quello che gli archeologi non dicono” su Spreaker.
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