Cosa ci ha insegnato questo 2020 così strano? Se è vero che ogni crisi porta con sé anche opportunità, quale bagaglio positivo ci portiamo nel nuovo anno? E’ una domanda che si sono posti in molti in questi giorni, nei settori più disparati. Noi guardiamo alla comunicazione digitale dei musei che, a eccezione dei mesi estivi, è stata di fatto l’unica forma di dialogo tra i musei e i cittadini.
Non intendiamo intraprendere analisi lunghe e complesse, e neppure analizzare quanto e come i musei hanno affrontato la sfida del digitale. Altri l’hanno già fatto raccogliendo dati e numeri precisi. Noi proviamo invece a stilare un decalogo di idee positive, una specie di vademecum da tenere sempre in tasca per il prossimo futuro.
Ci ha aiutato in questo un webinar organizzato prima di Natale da Icom Italia (il comitato nazionale dell’International Council of Museums) proprio per riflettere su La comunicazione digitale dei musei: sfide e opportunità ai tempi del Covid-19. Al termine di una mattinata lunga e intensa che ha visto alternarsi grandi professionisti sul palco e in chat, si è chiesto a ognuno qual è stato secondo lui l’aspetto più positivo di quest’anno così difficile e singolare.
Riportiamo dunque alcuni degli spunti emersi quel giorno aggiungendo qualcosa di nostro, senza alcuna pretesa di esaustività. Solo una lista di idee. Utili, forse, a far diventare i musei un po’ più ‘cool’.
La visione
Troppo immersi nell’affrontare il contingente, in passato molti musei non avevano forse riflettuto abbastanza sul proprio ruolo nella comunità e nel mondo. I lockdown hanno offerto l’occasione per fermarsi, ragionare con calma, ripensare la propria visione, così da provare a dialogare con i cittadini in modo nuovo, meno puntuale e più globale. E di farlo online.
La cura
Abbiamo scoperto quanto siamo vulnerabili. Tutti. E quanto sia importante prenderci cura l’uno dell’altro, per sopravvivere. A fronte di musei che, durante il lockdown, hanno raccontato se stessi online fino alla noia, molti altri hanno voluto cogliere le esigenze della propria comunità e provare a offrire aiuto. L’arte cura, già lo sappiamo. Ma ogni tipo di museo può essere luogo di consolazione, conforto, cura, e non solo nella sua sede fisica. Anche online.
Fisico e digitale sono entrambi reali
Forse – perché non è ancora chiaro – stiamo cominciando a capire che l’ambiente fisico e quello digitale non sono in contrapposizione tra loro ma fanno entrambi parte delle nostre vite. Sono entrambi reali e tutti noi ci muoviamo e ci esprimiamo in entrambi, con modalità diverse. Lo stanno cominciando a capire anche i musei.
Strategia e progettualità digitali
Durante i lockdown abbiamo visto di tutto online, dall’improvvisazione più banale ai progetti più sofisticati. Ora però i musei stanno capendo che anche la presenza online richiede strategie e progettualità precise finalizzate a obiettivi chiari. E richiede professionalità dedicate.
Musei e comunità
Abbiamo anche capito quanto il museo sia luogo della socialità, e che i ‘social media’ – sociali per definizione – sono uno strumento fantastico per dar vita a una comunità vera. In futuro l’interazione tra comunità fisica e digitale dei musei assumerà forme sempre più complesse e nuove.
Un cambiamento culturale
La crisi ha insomma accelerato un cambiamento culturale che era comunque già in atto. Viviamo tutti in un universo sempre più ibrido, dove il confine tra fisico e digitale si fa sempre più indistinto.
Ibridazione di temi e linguaggi
Ci siamo lanciati anche verso un’ibridazione più spinta di contenuti e idee. Molti musei si sono aperti al mondo per la prima volta: hanno usato linguaggi meno tecnici e più colloquiali e toni di voce meno formali e più autentici; hanno affrontato i temi più diversi, anche non legati strettamente al loro essere, rivelando la loro natura di ‘macchine per pensare’, istituzioni che ci aiutano a capire meglio noi stessi; hanno sperimentato liberamente senza timore di sbagliare, e traendo insegnamento dagli errori. Grazie alla massiccia attività digitale, insomma, i musei si sono calati di più nel mondo e hanno cominciato ad abbattere quel muro di serietà che teneva molte persone lontane da loro.
Creatività e pluralità di voci
Siamo stati tutti più creativi. La creatività ha bisogno di un ambiente favorevole per svilupparsi e durante i lockdown la necessità ha aguzzato l’ingegno. E forse i musei hanno capito che ogni tipo di comunicazione richiede contenuti e toni di voce diversi, e che in molti casi l’idea apparentemente bislacca o insolita può incuriosire molto più di un discorso troppo informato. Hanno capito dunque che le ispirazioni e le sensazioni possono e devono avere la stessa dignità del reale. E che la pluralità di visioni e voci è un valore.
Più storie
Durante i lockdown abbiamo tutti ascoltato più storie, e anche i musei cominciano a capire quanto una storia bella e coinvolgente sia uno strumento di branding potentissimo. Le storie sanno costruire partecipazione e trasformare un luogo o un museo in un mito. Bisogna puntare di più sulle storie…
Più cantastorie
…e sui cantastorie. Creativi di ogni tipo: scrittori, podcaster, videomaker, artisti digitali e visivi, fotografi, attori e oltre. Ma i musei hanno capito davvero che raccontare storie non è facile, che non ci si può improvvisare e servono professionisti veri? Non tutti, non ancora. Magari col 2021…
Buon anno visionario, ibrido e creativo a tutti!
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