L’inaugurazione sarà sabato 15 luglio, e l’attesa è tanta. Perchè con Carolina Megale che ha curato la mostra assieme a me, mostriamo per la prima volta al pubblico una scoperta eccezionale avvenuta solo pochi mesi fa, e la cui notizia ha fatto il giro del mondo (anche grazie alla tempestiva comunicazione fatta da questo Magazine).
Al Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri si potrà vedere infatti la sepoltura dell’uomo di epoca etrusca, ricomposta con i ceppi alle caviglie e il giogo in ferro al collo, così come sono stati trovati, e posta in una struttura appositamente creata dall’architetto Erica Foggi.
Sepolto incatenato tra le dune di Baratti. La scoperta dell’uomo in ceppi di Populonia è il titolo della mostra che narra le circostanze della scoperta, spiega le caratteristiche di deposizione ricavate dal contesto di rinvenimento, e fornisce notizie preliminari sulle indagini antropologiche effettuate da Cristina Cattaneo con la sua équipe del Laboratorio di Antropologia LABANOF dell’Università degli Studi di Milano.
La cruda realtà della schiavitù antica
La sepoltura è sicuramente di forte impatto visivo, ma la mostra consente anche di immergersi con non poco sgomento in una traccia viva di una antichità – e di un mondo etrusco in particolare – spesso trasfigurata in un’aurea gaudente e idealizzata.
Questa idealità, che tanta parte ha avuto nella nostra cultura moderna e contemporanea, qui sembra svanire per lasciare il posto a una realtà più cruda e coerente che invita a riflettere su una storia dell’umanità ricca in realtà di contraddizioni, diseguaglianze e ataviche brutalità.
La storia dell’Uomo in Ceppi è emersa quasi come uno schiaffo dalle silenziose e dolci dune del golfo di Baratti, luogo quasi fuori dal tempo che spesso suscita pensieri di estatica pace. Racconta di un uomo, probabilmente uno straniero venuto da terre lontane – come rivelano alcuni caratteri emersi dalle analisi antropologiche – caduto in prigionia e per questo forse condannato ai lavori forzati.
Il malcapitato ha vissuto l’ultima parte della sua vita costretto da un complesso e crudele sistema di coercizione dal quale i suoi carcerieri, e forse la semplice ‘normalità’ percepita dalla comunità che lo circondava, non gli hanno permesso di liberarsi nemmeno da morto.
Questo rinvenimento offre dunque una testimonianza quasi inedita della presenza tra le classi subalterne della società etrusca – per le quali le fonti latine richiamano genericamente il concetto di servi – di figure servili più ‘rigide’, schiavi veri e propri. Le fonti antiche li nominano solo raramente, ma possiamo farci un’idea della loro condizione dagli scenari inquietanti della schiavitù moderna.
Su questa storia, spesso taciuta in antico e poco frequentata nel contemporaneo, la mostra di Populonia coglie l’occasione per aprire uno spiraglio, offrendo alcuni spunti anche di confronto con altri contesti analoghi.
L’uomo in ceppi non è solo
L’esposizione dell’Uomo in Ceppi di Populonia ha consentito infatti di avviare un proficuo scambio internazionale con studiosi che si sono occupati a vario titolo di queste tematiche, con l’obiettivo di dare vita a progetti specifici, già da ora in fase di definizione. Proprio in quest’ottica una breve sezione dell’esposizione è stata dedicata ai lavori dello York Archaeological Trust.
Vengono presentate, in assoluta anteprima, alcune anticipazioni dei dati desunti dallo scavo dell’ampia necropoli romana di York in Inghilterra dove, tra le sepolture di individui decapitati, ne sono state rinvenute alcune con anelli alle caviglie che, seppur di epoca più recente, appaiono del tutto analoghi a quanto ritrovato a Populonia.
Un dialogo costante tra archeologi e cittadini
La mostra intende dunque proseguire il percorso già avviato lo scorso anno al Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri con l’allestimento dei dati relativi alla scoperta della Casa dei Semi di Populonia, presentata al pubblico a soli quattro mesi dalla conclusione dello scavo di emergenza.
L’idea di fondo è la costruzione di un dialogo sempre più intenso e costruttivo tra archeologi e cittadini, e di un legame nuovo tra il territorio con la sua ricettività turistica e l’indagine scientifica con le sue scoperte e le ricerche spesso innovative e di respiro internazionale. Anche a Populonia, come si vede, con non poca fatica per le scarse risorse economiche, queste proseguono con risultati spesso eccezionali.
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