Quando – correva l’anno 786 – al maestro Oddone da Metz venne affidato l’incarico di progettare la Cappella Palatina ad Aquisgrana, nessun uomo al mondo avrebbe immaginato che la gloria di Carlo Magno sarebbe sopravvissuta ai secoli.
Solo lui, l’architetto di corte che fino ad allora aveva progettato null’altro che caserme e accampamenti per gli eserciti, fu capace di rielaborare quanto i Bizantini fecero a Ravenna creando un equilibrio cosmico, e di immaginare che in quella sala ci sarebbero stati il trono e la tomba di Carlo Magno… e anche il proprio copricapo!
Nell’inverno dell’803, vestito di abiti semplici, mutande di lino, camicia in canapa bianca e doppia tunica in lana monocromatica, Oddone non appariva diverso da uno dei suoi manovali.
Solo il copricapo lo distingueva.
Era un elmo di metallo, ma ricoperto in lana rossa con inserti di cuoio per apparire un copricapo comune. Lui lo indossava sempre, a protezione, e non solo nei cantieri: era come se avesse paura che qualcosa (o qualcuno) potesse colpirlo in testa. Riteneva quell’oggetto talmente importante da considerarlo parte di sé.
E quando, durante la festa dei Magi dell’anno 804, la cappella venne consacrata da Papa Leone III, Oddone aveva già compiuto la sua missione: consegnare il proprio elmo alla storia.
Elmi come il suo, li conosciamo da immagini in documenti come il Salterio di Utrecht, la Bibbia di San Paolo Fuori le Mura e il Salterio Aureo; queste ci hanno permesso però solo di immaginare la loro forma a calotta rastremata con paracollo sporgente. Erano elmi che spettavano solo ai comandanti degli eserciti, e nessuno era stato mai trovato. Fino al giorno in cui io…
L’elmo di Oddone era appartenuto al generale Vitichindo che si era opposto a Carlo Magno in Spagna. Lo nascose in segreto sotto il primo scalino della rampa che conduce a una delle torri.
Nessuno aveva mai pensato di esaminare le scale, poiché erano all’apparenza solo un elemento di raccordo tra la sala e i campanili. Nessuno tranne me, la scorsa estate, prima che la pandemia bloccasse la mia voglia di viaggiare e di sapere. Almeno per un po’.
In quel mio viaggio ad Aquisgrana, la mia passione per la matematica e il mistero mi aveva indotto a cercare qualcosa in più della semplice proporzione evidente nella progettazione della Cappella Palatina: la logica dell’asimmetria.
Avevo così supposto che le due rampe, apparentemente uguali, potessero differire. Ma in cosa?
Sapevo che il numero otto, che rappresenta la resurrezione di Cristo, e i suoi multipli, e tutto ciò che da esso deriva, avevano governato la progettazione e la realizzazione della Cappella; non avrebbe potuto il suo reciproco, cioè 1/8, nascondere qualcosa di altrettanto grandioso?
Pensai subito alle scale, ma quale delle due rampe avrei dovuto scegliere? Per una rapida intuizione mi diressi verso quella di sinistra.
L’equilibrio cosmico è anche nell’alternanza tra il bene e il male, tra Dio e Satana, e la sinistra, secondo la tradizione ebraica e cristiana, era considerata la mano del diavolo.
In un attimo ebbi la prova: incisa nel marmo c’era la corona di Carlo Magno. Un solo simbolo! E sulla rampa opposta, sull’altro primo scalino, due simboli: il globo e lo scettro.
L’asimmetria mi dava ragione. L’unico numero dispari fra i sottomultipli di otto mi indicava qualcosa che non era mai stato notato prima.
Non senza fatica, convinsi il custode a contattare le autorità per permettermi di verificare se la mia ipotesi fosse giusta. Non facevo che ripetere: “Solleviamo il marmo, sotto c’è sicuramente qualcosa di importante”.
Il tempo mi ha dato ragione: l’elmo di Vitichindo era proprio sotto lo scalino. Conservato alla perfezione!
Francesca Matera, Liceo Classico Pilo Albertelli
Bibliografia:
Eva Cantarella e Giulio Guidorizzi, Oriente Occidente, vol.2, Mondadori Education, Milano 2018.
Bellissima esperienza, ringraziamo ancora una volta la valente e generosa Redazione di Archeostorie!
Michela Nocita