“È stato di Lucrezia il primo #metoo della storia. Matrona romana violentata dal figlio di Tarquinio il Superbo, l’ultimo Re di Roma, è stata la prima donna a denunciare un abuso. Per questo ci è parso importante dedicare lo spettacolo a lei”.
A parlare è Elisabetta Vergani, autrice e interprete di Lucrezia e le altre – Dal mito le origini della violenza di genere, una pièce teatrale che ha debuttato al Pacta Salone di Milano lo scorso 27 febbraio e che sarà presto portata in tournée.
Scritto insieme a Silvia Romani, docente di Religioni del mondo classico e Mitologia classica all’Università Statale di Milano, lo spettacolo rilegge e analizza alcune storie della mitologia greco-romana, per trovare la radice dei pregiudizi e della violenza di genere nella nostra società.
“Purtroppo gli strascichi sono molti”, afferma Romani. “Per esempio, il fatto che le donne reagiscano alla violenza col senso di colpa e il desiderio di espiare, o con l’autodenuncia che è di fatto un’alleanza con l’aggressore, o con la vergogna: sono comportamenti che abbiamo assorbito direttamente dall’antichità”.
La produzione è dalla compagnia Farneto Teatro, di cui Vergani è fondatrice e che da tempo si occupa di eroine del mito, come Cassandra, Elena, Antigone, Elettra e Medea. Con le due autrici, sul palco c’è anche Sara Calvanelli, che di Lucrezia e le altre ha curato le musiche originali.
Lucrezia e le altre: uno spettacolo di forte impatto
Nella sua apparente semplicità, la formula a metà tra la lezione narrata e la pièce è davvero efficace, oltre che già collaudata dalle autrici. “Abbiamo messo a punto questo ‘modulo’ un po’ particolare in carcere, dove io e Elisabetta ci siamo conosciute durante un laboratorio teatrale con detenuti e studenti dell’università”, racconta Romani.
Su un palco praticamente privo di scenografia, un luogo che potrebbe essere ovunque nello spazio e nel tempo – dunque anche qui, anche oggi – le tre donne compongono uno strano ‘coro’ che ricorda solo vagamente quello teatro classico.
Dalla sua scrivania di scena, su cui si accatastano pile di libri e scartoffie, Silvia racconta miti e storie. Li ordina e li spiega con una calma quasi serafica, uno dopo l’altro, partendo dall’origine dei tempi.
E mentre Sara accompagna il racconto con fisarmonica e arpa, Elisabetta le fa da contrappunto. Prendendo in prestito le parole di Esiodo, Semonide, Livio, Ovidio e perfino di Shakespeare, dà voce, corpo ed emozioni alle dee e alle eroine abusate: da Gea alle Sabine, dalla ninfa Dafne a Lucrezia.
Nessun giudizio, solo il racconto: spietato
Naturalmente, la rilettura del mito con occhi ‘moderni’ e attenti alle tematiche di genere non è cosa nuova. Così come non è una novità ricordare che le donne dei miti non hanno una loro voce perché sono state sempre narrate da uomini. Eppure, Lucrezia e le altre ha dalla sua un pregio che rende questo spettacolo davvero imperdibile: racconta le violenze senza giudicare i fatti e, soprattutto, senza giudicare i maschi.
“Non volevamo mettere in scena uno spettacolo contro gli uomini”, ci tiene a spiegare Vergani. “Soprattutto, non volevamo ergerci a loro giudici. Il nostro intento era piuttosto indagare quello che del mito – e dal mito – è rimasto nella violenza di genere oggi. Perché se vogliamo davvero cambiare la realtà, dobbiamo riconoscere quel che ci è stato tramandato attraverso i millenni: dobbiamo ‘guardare in faccia’ il mito, per come ci è stato raccontato.”
Per questo suo sguardo lucido, onesto, ma mai giudicante, lo spettacolo è meravigliosamente potente e a tratti persino spietato, come possono esserlo solo i fatti di cronaca raccontati su una pagina di giornale da un bravo cronista.
Le parole di disperazione di Lucrezia e delle altre eroine portate in scena ‘arrivano’ allo spettatore come un pugno allo stomaco, inaspettato, doloroso ma necessario. “Ci piace pensare che sia uno spettacolo terapeutico. Non dà risposte, ma mette in fila tante domande che secondo noi possono favorire un cambiamento”, concludono le autrici.
A breve, Lucrezia e le altre sarà portato in tournée, e la prima tappa sarà di nuovo a Milano il 21 marzo. L’obiettivo però è portare lo spettacolo non solo nei teatri, ma anche nei centri antiviolenza, nei luoghi pubblici come per esempio le biblioteche “e soprattutto nelle scuole, dove ancora si può fare qualcosa per educare i ragazzi contro gli stereotipi”, ricordano le autrici.
Noi auguriamo loro di riuscirci. Sperando, prima o poi, di poterle rivedere in replica in uno dei musei che ospitano le statue delle donne da loro raccontate.
Non sarebbe un bel modo per dialogare con il mito?
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