Tra le conquiste femminili significative della società moderna, ce n’è una trascurata per l’apparente frivolezza: il diritto allo svago e al divertimento nei luoghi pubblici. Per il mondo romano, il connubio ‘donne e spettacolo’ portava in sé qualcosa di pericoloso e di immorale. Negli anfiteatri e nei circhi, il pubblico femminile era relegato nelle porticus in summa cavea, la postazione più lontana dall’arena e dalle piste, con la sola eccezione delle matrone che avevano il posto riservato nelle prime file accanto a quello dei loro consorti. Nei teatri, invece, un certo pubblico femminile andava a farsi vedere e a cercar marito “correndo a frotte agli spettacoli affollati”, secondo le insinuazioni maliziose di Ovidio nella Ars Amatoria (1, 89-134).
Il tifo di lady Praula
In controtendenza con questo cliché di spettatrice distratta o poco adatta agli agoni è ‘Lady’ (kyria in greco) Praula, ricordata in poche righe incise su un blocco di marmo nel quale mi sono letteralmente imbattuta nel teatro di Laodicea sul Lykos, nell’attuale Turchia, poco più di un anno fa. L’iscrizione è una novità appena pubblicata nel volume 15. YILINDA LAODIKEIA (2003-2018) (alle pagine 181-186) che celebra i 15 anni dello scavo diretto dal professor Celal Şimşek dell’Università di Pamukkale, un fiore all’occhiello per la ricerca archeologica turca.
Il testo si ‘mimetizza’ tra le lettere di una preghiera con tanto di raffigurazioni sacre -una croce e un agnello- perché il blocco di marmo pregiato sul quale è incisa, è stato riutilizzato in epoca cristiana. Guardando bene, però, è ancora possibile leggere una vera e propria incitazione da stadio:
Così tanti, tanti anni! Lady Praula si diverte. Dio cambiando quello che è sfavorevole, non scherza.
E continua con tono d’invocazione:
Alla Buona Sorte. Trionfi la Fortuna della Metropoli! Dio, aiuta la tua serva Praula e (dài) grazia alla squadra dei Blu. Koko mi amerà. La grazia sia con te.
Tifo e scommesse
Non possiamo sapere chi fosse Praula, Lady dal nome raro, ma appare chiaro che dovesse ricoprire un ruolo non secondario nella fiorente Laodicea del IV -V secolo d.C., città metropolitana come è scritto, ovvero capitale della provincia di Frigia. La Lady sedeva infatti nei primi scranni del teatro, quelli in prossimità dell’orchestra.
Non vi è dubbio, inoltre, che fosse un’accanita sostenitrice della squadra dei Blu, detta altrimenti Factio Veneta, una delle quattro squadre internazionali impegnate nelle corse dei cavalli al circo. Anche le altre tre factiones, note a Roma e in molte altre province del mondo romanizzato, prendono nome da un colore: la squadra dei Bianchi (Albata), dei Rossi (Russata) e quella dei Verdi (Prasina).
L’interesse per i Blu/Veneti non doveva limitarsi a una semplice preghiera: molto probabilmente Praula investiva sulla sua squadra del cuore, così come facevano i tifosi avversari. Poco distante da questa iscrizione, nel 2011 è stato rinvenuto l’architrave di una porta marmorea sul quale sono incisi dei versi. Nel testo si ricorda che i sostenitori della squadra dei Verdi avevano dedicato a loro spese un edificio a Eracle, dio protettore degli ambienti sportivi, come i ginnasi, e delle competizioni che vi si svolgevano, evidentemente sperando in una lauta ricompensa in premi ippici e onori cittadini.
Fantino amore mio
Ma Praula, oltre che di ‘febbre da cavallo’ soffriva probabilmente anche di febbre d’amore: il Koko citato nel testo potrebbe essere infatti un suo spasimante. Non stupisce che proprio la squadra dei Blu accendesse gli animi di personaggi altolocati: c’è una ‘acclamazione – commemorazione’, che proviene dalla Roma di epoca tardo antica, che ci ricorda la passione per questa factio e l’agiatezza di coloro che ne facevano parte (IGUR II 443).
Il fantino che correva a Roma per la squadra dei Blu/Veneti, è addirittura soprannominato “il principe”, a detta del fratello, e viene ricordato con un’elegante iscrizione incisa su un cippo ora conservato presso la basilica di San Paolo fuori le mura: “Agli Dei Inferi. (In ricordo) delle vittorie di Basilios, Marco Aurelio Dionysis dedicò al fratello. Per sempre i Veneti, al Prinkeps!”.
Sebbene l’erudito romano Plinio apostrofasse i fantini come inhonestae personae condannandoli senza appello (N.H. XXXVI 71), questi divi del circo erano apprezzatissimi dal popolo e capaci di grandi guadagni, anche perché privi di scrupoli. Giovenale paragona il patrimonio del famoso Lacerta della squadra dei Rossi a quello di cento avvocati, e le stesse iscrizioni testimoniano la facilità con la quale gli atleti passavano da una factio all’altra in base all’offerta migliore (CIL VI 10047, 10048, 10050). Tra i ‘volta gabbana’ più noti, ci sono due aurighi romani di origine greca, Marcus Aurelius Polynices e Marcus Aurelius Mollicius Tatianus, che gareggiarono per… tutt’e quattro le fazioni circensi (IGUR III 1171): “sic in russeo [–], in prasino [–], in veneto [–], in albo [-]”.
Fanatici di ogni tempo
Oltre ai nomi e alle sorti degli aurighi, le iscrizioni romane documentano anche il fanatismo dei tifosi, sia quello ‘negativo’, cioè espresso contro le squadre nemiche attraverso i sortilegi, che quello ‘positivo’ rivelato dall’entusiasmo per la factio preferita, esaltata nelle formule di acclamazione. I rituali magici utilizzati per favorire la vittoria della propria parte provocando la caduta dei cavalli e degli aurighi avversari, se non addirittura la morte, sono espressi nelle defixiones, maledizioni incise su lamine di piombo, rinvenute sulla via Appia, nel colombario di Villa Pamphili, e presso la fonte di Anna Perenna.
E la storia tra Koko e Lady Praula, è forse nata sui gradini del teatro o meglio dello stadio di Laodicea? Per ora non è dato sapere se alla passione agonistica si aggiunse anche quella sentimentale: certo è che nell’Oriente romano di prima età imperiale le donne partecipavano alla vita sociale, erano ben visibili sul ‘palcoscenico’ delle loro comunità, sostenevano opere pubbliche ed erano benefattrici. Così ce le descrivono iscrizioni provenienti dalle grandi città della valle del Lykos, Hierapolis e Laodicea.
Non rimane dunque che unirsi all’incitamento di Praula con le parole di un’epigrafe romana: “Vincano sempre i Veneti, felicemente!” (CIL VI 10044).
Molto molto interessante!
Grazie!
Molto interessante