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Il Primo Re, un nuovo mito - Archeostorie Magazine

Il Primo Re, un nuovo mito

5 Febbraio 2019
Il film Il Primo Re indaga la nascita di Roma e la leggenda dei fratelli Romolo e Remo in modo originale e profondo, degno di un grande film di Hollywood.

Nel raccontare la storia in un film, la tendenza imperante è quella di attualizzarla in maniera più o meno conscia. Il Primo Re, invece – scritto e diretto da Matteo Rovere con Alessandro Borghi e Alessio Lapice – tenta un’operazione contraria: arcaizzare noi spettatori. E l’effetto raggiunto è straordinario.

Una natura selvaggia

L’ambientazione viene ripulita da qualsiasi traccia umana rilevante, mostrando il modo di vivere arcaico e quasi preistorico dei pastori e allevatori del basso Tevere nel 753 a.C., leggendaria data della fondazione dell’Urbe. Pochi abitanti, qualche villaggio di capanne e palizzate senza alcun segno di urbanizzazione con templi o edifici in pietra, e poi vaste aree di paludi e foreste: la retorica della Grande Roma, troppo spesso associata alle sue origini, viene completamente abbandonata in nome di un realismo filologico.

È proprio la natura a essere protagonista, una natura selvaggia e bestiale dove anche l’essere umano è costretto a obbedire alle sue leggi e ai suoi ritmi, senza alcuna possibilità di piegarla a suo vantaggio. Per questo la maggior parte del film è girata in esterna, con luce naturale e con effetti speciali pratici (per quanto possibile senza computer grafica): per dare il senso di un’estrema naturalezza.

Il protolatino

Altro grande merito del film è la recitazione interamente in latino o, meglio, protolatino. Abbandonare il latino classico in favore di una lingua arcaica, per molti tratti incomprensibile, ricostruita a partire da pochissimi esempi archeologici da un comitato di esperti dell’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’, è stata una scelta sicuramente coraggiosa ma vincente. Colpiscono molto anche i lunghi momenti di silenzio e la semplicità espressiva di questi uomini, decisamente lontani da un mondo dove la parola è onnipresente.

Altri due elementi, poi, completano il quadro di una ricostruzione storica molto convincente: l’antropologia e la religione. Gli atteggiamenti, i sentimenti, le interazioni che caratterizzano i rapporti tra gli esseri umani e il loro rapporto con la natura sono resi in maniera estremamente naturale e immediata, senza particolari condizionamenti sociali tipici di culture più moderne. Anche la violenza assume più i connotati di una disperata lotta per la sopravvivenza, che una prova di forza per il potere e la supremazia (almeno per la prima parte del film).

Il Primo Re

Il Primo Re: i due fratelli Romolo e Remo, e la Vestale

Homo religiosus

La religione, come ci si aspetta per civiltà così antiche, permea qualsiasi aspetto della vita umana e ne condiziona profondamente ogni azione. L’unico che tenta di opporsi a questa visione del mondo è proprio Remo, la figura centrale del film, che osa non credere alle parole sacre delle profezie.

È estremamente interessante il punto di vista classicamente tragico di Rovere sulla vicenda dei due fratelli Romolo e Remo. La loro storia si sviluppa sulla tematica dell’eterno conflitto tra volontà umana e volontà divina, tra lex dei e lex hominum, riprendendo questo elemento da molti miti classici e da tragedie greche quali l’Orestea di Eschilo e l’Antigone di Sofocle.

Il Primo Re

Tutto ruota attorno a una profezia pronunciata da una Vestale (sacerdotessa del fuoco sacro simbolo della protezione divina su una città), secondo il quale non era possibile per entrambi i fratelli essere re, ma uno dei due avrebbe dovuto uccidere l’altro per avere il potere e la benevolenza dagli dèi. Remo si ribella, ritenendo la legge dell’amore per il fratello superiore alle parole della sacerdotessa. Romolo invece si fa carico della profezia e la porta a compimento.

La maestria della narrazione risiede nel fatto che ci troviamo a simpatizzare per entrambi i fratelli, senza parteggiare pienamente né per l’uno né per l’altro. E questo è sicuramente lo spirito della tragedia, l’impossibilità per l’uomo di comprendere dove risieda la giustizia.

Per concludere, pur non rinunciando a elementi di puro intrattenimento come battaglie, scene cruente e azione, Il Primo Re riesce a riportare in vita una vera e propria mitologia di cui tutti siamo figli e a trasportarci in un mondo brutale e arcaico ma che ci appartiene nel profondo. Solo catapultandoci a 2772 anni fa si può meglio capire, paradossalmente, l’oggi.

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