Se pensate che Google Maps rappresenti l’apice della mappatura urbana, preparatevi a ricredervi. C’è stato chi nel III secolo d.C. ha deciso di incidere sul marmo tutta la città di Roma: ogni casa, strada, palazzo, ponte. Non era esattamente tascabile, date le dimensioni colossali, ma oggi per noi rappresenta una straordinaria finestra sul passato di Roma. Stiamo parlando della Forma Urbis, il capolavoro cartografico tornato da poco visibile a tutti nel Museo della Forma Urbis sul Celio, a due passi dal Colosseo.
Un’opera immane
Sovrastimare l’importanza della Forma Urbis non è possibile: si tratta della sola rappresentazione in pianta di una città antica che sia giunta fino a noi. E non di una città qualsiasi, ma di Roma caput mundi! È stata realizzata tra il 203 e il 211 d.C., anni in cui era imperatore Settimio Severo. Era incisa su 150 lastre di marmo e misurava circa 13 metri di altezza e 18 in larghezza, per una superficie di circa 235 metri quadrati. Vi erano rappresentati oltre 13 milioni di metri quadri dell’antica città a una scala media di 1:240: si riescono a vedere persino le singole stanze degli edifici!
In età romana, la Forma Urbis era esposta nel Tempio della Pace, fissata a una parete ancora visibile passeggiando lungo via dei Fori Imperiali: è quel muro tutto bucherellato (i fori servivano proprio ad ancorare le lastre di marmo) a sinistra dell’ingresso della basilica dei Santi Cosma e Damiano.
Generazioni e generazioni di ricercatori l’hanno studiata dal dì della sua scoperta nel 1562, oceani di inchiostro le sono stati dedicati e ancora oggi rappresenta una fonte inesauribile e imprescindibile di conoscenza. Eppure, è dal 1939 -quando l’Antiquarium del Celio che la ospitava venne chiuso- che è sparita dai radar della pubblica fruizione.
1500 anni per tornare alla stessa precisione
Ed è proprio nel neonato Parco archeologico del Celio che la Forma Urbis ha trovato la sua dimora definitiva in un Museo tutto per lei. Purtroppo, solo poco più del 10% della superficie originaria è attualmente conservata (i Farnese, fautori del ritrovamento, pensarono bene di frantumare parte delle lastre e utilizzarle come materiale da costruzione per il loro giardino sul Tevere…) e ancora meno sono i frammenti ricollocati con certezza. Per esporla, quindi, serviva un’altra pianta che andasse a completare le parti mancanti. Ma quale scegliere?
È qui che entra in gioco Giovanni Battista Nolli, star nel mondo della cartografia perché autore nel 1748 della prima grande pianta di Roma moderna. La prima pianta, cioè, frutto di lunghissimi lavori di rilievo settoriali eseguiti a grande scala. Ebbene, la Forma Urbis si incastra con una precisione millimetrica con la pianta settecentesca: ci sono voluti più di 1500 anni perché si realizzasse un’opera comparabile per rigore e precisione alla pianta marmorea romana!
Un viaggio nel tempo
Appesa su una parete nel Foro della Pace, alta come un edificio di quattro piani, la Forma Urbis non doveva essere molto leggibile nei suoi dettagli. Gli antichi romani, che conoscevano bene la loro città, ne coglievano a pieno la grandezza e il potere che rappresentava, e non dovevano essere così interessati ai dettagli raffigurati. Noi, al contrario, siamo attirati da ogni solco nel marmo che delinea strade e palazzi ed è per questo, per potere apprezzare la pianta nella sua meticolosità, che nel Museo la pianta è stata traslata in orizzontale e posizionata al di sotto di un pavimento in vetro.
La grande stanza in cui la pianta è ospitata si trasforma in una capsula immersiva in cui perdersi. È proprio come passeggiare per la Roma antica: si può smarrire l’orientamento per poi ritrovarlo, provare a riconoscere un monumento o un altro, lasciarsi stupire dalla precisione della realizzazione, dalla vastità della città antica. È un’esperienza di visita veramente straordinaria.
Più che in ogni altro museo, qui si percepisce Roma come urbs, come città, vasta e immensa, fatta non solo di grandi monumenti che ancora oggi possiamo parzialmente ammirare, ma di strade, vicoli, condomini, magazzini, mercati, caserme.
È chiaro il messaggio della Forma Urbis?
Una volta ripresi dall’inebriamento per la mappa, una perplessità rimane però nell’aria: quanto è davvero alla portata di tutti questa esperienza? I pannelli, giustamente brevi ed essenziali, forniscono solo qualche coordinata generale, senza sottolineare con l’enfasi che meriterebbe l’eccezionalità e l’unicità di ciò che stiamo osservando. Un prospetto ricostruttivo di Roma tenta di aiutarci nell’orientamento: appeso sulla parete, con sovrapposti i frammenti della pianta marmorea, fornisce qualche sporadica indicazione sui nomi degli edifici principali, ma non è sicuramente abbastanza.
D’altronde, creare un museo attorno alla Forma Urbis vuol dire creare un museo su tutta Roma, impresa ciclopica e sicuramente non adatta ai limitati spazi espositivi. Ma ciò che ci preoccupa è: cosa rimarrà impresso nella mente di chi del mondo romano conosce (giustamente!) poco o nulla? La visita potrebbe trasformarsi in una rapida passeggiata tra i monumenti più famosi, come Colosseo e Circo Massimo, senza il privilegio di un vero approfondimento.
Nel frattempo, però, godiamoci il lusso straordinario di poter tornare a vedere con i nostri occhi questi frammenti marmorei così preziosi e così a lungo tenuti nascosti. Il Museo della Forma Urbis, pur essendo appena nato, sa già di casa: un luogo dove tornare più e più volte per assaporare ogni volta una sfumatura di luce diversa, scoprire un angolo che era sfuggito, abbracciare un nuovo punto di vista.
Parco Archeologico del Celio e Museo della Forma Urbis
Roma, viale del Parco del Celio 20 e Clivo di Scauro 4
Info: tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-19.00) – www.sovraintendenzaroma.it
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