Nel gennaio 1996, quando mise piede per la prima volta nell’ufficio del colonnello Scalas, suo superiore alla caserma della Brigata Garibaldi in Bosnia, Fabio Maniscalco non sapeva né che avrebbe fatto la storia, né che il suo impegno per i beni culturali lo avrebbe ucciso a soli quarantadue anni. All’epoca era solo un giovane tenente molto determinato, arruolatosi nell’esercito subito dopo la laurea in Lettere antiche, che non voleva perdere tempo in una caserma italiana e aveva un’idea fissa: tutelare e mappare il patrimonio culturale in zone di guerra, e restituire i beni illegalmente sottratti alle popolazioni colpite dai conflitti. Voleva cioè applicare, per la prima volta nella storia, l’articolo 7 della Convenzione dell’Aja del 1954.
Oro dentro, la biografia di Maniscalco scritta per Skira dai giornalisti Laura Sudiro (che è anche archeologa come il nostro protagonista) e Giovanni Rispoli, parte proprio dalla Bosnia, quando Scalas si lasciò convincere dalla passione del suo giovane tenente-archeologo e gli concesse una squadra per mappare i beni distrutti dai bombardamenti. Da buon idealista, Fabio era convinto che il processo di pace passasse necessariamente dalla salvaguardia della cultura e ci si era buttato a capofitto, “sfiorando” addirittura il Nobel nel 2008, anno della sua morte.La prima parte del libro sembra quasi tracciare una guida turistica delle zone di guerra, fatta di rovine e paesaggi desolati. Dopo aver toccato Sarajevo, le vie di Napoli, i mercati antiquari di Tirana, i luoghi di culto a rischio in Cisgiordania, i siti iracheni e i resti sommersi di Baia “scavati” da Maniscalco con bombola e pinne, il racconto torna alla fine in Bosnia come a chiudere un cerchio, per il capitolo più importante: quello sull’uranio impoverito e la sindrome dei Balcani. L’oro dentro, che dà il titolo al testo, non è purtroppo una metafora, ma è davvero il metallo prezioso che, polverizzato dalle bombe arricchite dallo scarto delle centrali nucleari riciclato nell’industria bellica, è poi finito sotto forma di particolato nel pancreas di Fabio insieme a tanti altri inquinanti, provocandogli un cancro doloroso e incurabile e facendo di lui un’altra delle vittime della guerra.
La vita di Fabio Maniscalco, tra romanzo e cronaca
La vita di Maniscalco è raccontata dai due autori un po’ come un romanzo e un po’ come cronaca. I piani si invertono e si sovrappongono di continuo: si salta dal passato al presente, dal racconto romanzato all’intervista. Questo rende talvolta confusa la comprensione del testo, che però è preziosissimo per la quantità di dati e di informazioni che riporta sul lavoro del protagonista, prima come militare e poi come professore precario, sul suo impegno nell’Ifor, nelle istituzioni che ha contribuito a creare come l’Osservatorio permanente per la protezione dei Beni culturali e ambientali in area di crisi, e nel mondo dell’editoria archeologica: sua è la prima guida sperimentale all’archeologia subacquea.
La ricerca svolta da Sudiro e Rispoli è sempre precisa e puntuale, le interviste ad amici, conoscenti, colleghi di Fabio sono tantissime e ci restituiscono l’immagine di un archeologo appassionato: “se l’archeologia è un virus, Fabio ne è affetto irrimediabilmente”. Nell’esercito conosciamo un Fabio Maniscalco che, Minolta a tracolla, girava in camionetta con la sua squadra per fotografare e documentare quel che rimaneva dei siti bombardati; in università, a Napoli, apprendiamo di un professore stimato ma con un ufficio vacante, innovatore non sempre “comodo”, docente di “Tutela e valorizzazione dei beni culturali in aree mediterranee” adorato dai suoi studenti, sempre impegnato tra ricerche, scrittura di libri o articoli, conferenze e immersioni.
È stato un uomo coraggioso, Fabio Maniscalco. Il suo esempio ci ha ricordato che la cultura è davvero uno strumento di pace. Si è battuto contro il contrabbando di beni trafugati, contro le archeomafie e gli archeocondoni, contro una malattia che l’esercito e il governo per cui ha lavorato non hanno riconosciuto e che lo ha ferito non solo nel corpo, ma anche nell’anima. Non ha mai perso la voglia di studiare, progettare, tutelare, nemmeno a pochi giorni dalla fine, nemmeno dalla sua stanza di ospedale. Oro Dentro va letto. Perché Maniscalco, a ben guardare, è stato il primo dei caschi blu della cultura e se vogliamo capire il senso di questo corpo militare che si è appena costituito, non possiamo non conoscere la sua storia.
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