È successo al Museo civico archeologico di Bologna: durante la pandemia i vasi hanno iniziato a… parlare! In un fumetto. S’intitola La solitudine di Askòs e racconta lo stupore e l’inatteso stravolgimento della vita quotidiana vissuti dalle opere del museo durante il lockdown. È scaricabile in formato pdf dal sito web del Museo e visibile sui suoi canali Facebook e Youtube (parte 1; parte 2; parte 3; parte 4). L’autrice è Elena Maria Canè, restauratrice del Museo che ha saputo presentare in modo insolito, innovativo e giocoso, alcuni reperti o vasi in ceramica della collezione etrusca del Museo.
Da un problema, una grande opportunità
Intervistata da Archeostorie, Canè descrive il fumetto come “una grande opportunità scaturita da un grande problema, la pandemia”. Il lavoro della restauratrice non si può certamente fare da casa e così Elena, su incitamento della direttrice del Museo Paola Giovetti, si è avventurata nel mondo dei comics. Del resto, non era la prima volta: laureata all’Accademia di Belle arti, già in altre occasioni aveva prestato la sua matita a progetti del Museo.
Askòs però è piaciuto così tanto, che Giovetti ha proposto anche agli altri musei comunali di utilizzare i fumetti di Canè. Insomma è stato un vero successo! Ora le sono stati affidati fumetti per tutte le realtà museali della città, e con molta probabilità ne dovrà realizzare altri anche per l’Archeologico.
La solitudine di Askòs
Ma entriamo nel vivo di Askòs. Protagonisti sono Hero (il piccolo guerriero), Hippo (il cavallino) e Bue, cioè le tre parti che compongono quel capolavoro dell’arte etrusca che è l’Askós Benacci, un raffinato contenitore per liquidi in ceramica dell’VIII secolo a.C. configurato per l’appunto a bovino, e sormontato da un piccolo cavaliere in armi. Soli e disorientati nelle sale del Museo, non più frequentate dalle centinaia di bambini che solitamente lo popolano, i tre personaggi riflettono su vantaggi e svantaggi di questa inedita condizione, mentre la città intorno sembra sparita.
“Sono partita da questo oggetto, in primo luogo perché trovo che la forma degli askoi, globulare e panciuta, comunichi un immediato senso di familiarità e simpatia”, continua Canè. “Inoltre, si prestava particolarmente per questo tipo di racconto perché è ‘uno e trino’, formato cioè da tre parti distinte ma fisicamente connesse, che potevano essere interpretate in maniera giocosa; identificandole con tre personaggi distinti.
Ho deciso poi di ironizzare con il distanziamento che avrebbero dovuto rispettare anche tra di loro. Infatti, quando si accorgono di quel che sta succedendo, reagiscono un po’ come bambini e vivono la situazione con divertimento e quasi sollievo: non saranno più maneggiati, restaurati o fotografati!
Poi però si rendono conto di quanto la nuova realtà sia oppressiva e quanto manchi loro la vita ‘di prima’. Il lieto fine corrisponde a quello che è stato fino a poco fa il desiderio comune a tutti noi: che si torni il prima possibile a visitare il museo! È dunque una bella storia di crescita, con diversi livelli di lettura”.
Un lavoro di squadra
Tra gli altri fumetti ideati da Canè, uno è già uscito: s’intitola Il nostro comune amico ed è ambientato alle Collezioni Comunali d’Arte in Palazzo d’Accursio. Un altro, in corso di stampa, trae ispirazione dal Mambo-Museo Morandi e parla di due giovani fidanzati che incontrano Giorgio Morandi in persona. Un terzo, dedicato al Museo della Musica, è in fase di lavorazione.
Canè afferma di non essere affatto spaventata dal doversi misurare con temi molto distanti dall’archeologia: “Mi approccio un po’ come se fossi una visitatrice, ed è tutto così stimolante! Mi trovo proprio a mio agio. Mi documento molto prima e, nell’abbozzare la storia, mi confronto sempre con i colleghi: perché solo con il lavoro di squadra, in uno spirito aperto e propositivo, si giunge a un buon risultato finale. Ciò mi aiuta anche a non andare fuori strada e a trovare un punto d’incontro tra le discipline”.
L’arte di Elena Maria Canè
Ma perché Canè ha usato le tradizionali matite colorate per creare Askòs, anziché affidarsi alla tecnologia? “Per mera necessità. In quel momento, durante il lockdown, avevo solo quelle!”. Poi però racconta di aver seguito l’istinto, utilizzando ogni volta la tecnica che secondo lei si accostava meglio alla narrazione. Ha usato una tecnica diversa per ogni museo: per divertimento personale, per mettersi alla prova, ma soprattutto per differenziare anche tecnicamente i vari temi trattati.
“Sentivo che ogni tecnica pittorica si adattava a una realtà precisa. A seconda degli strumenti usati si va in direzioni diverse, ed è anche bello iniziare in un modo e poi capire quale sia il metodo più indicato per quella situazione. Anche le matite che ho utilizzato per il primo fumetto, possono sembrare una tecnica ‘povera’ ma sono perfette se poi vi si affianca un lavoro di postproduzione al computer: la texture eterogenea e porosa della matita ben si accosta a raccontare qualcosa di legato all’antico, ricorda un po’ il passato. Per il Mambo/Museo Morandi, invece, ho usato i pastelli a olio.
Mentre in genere, per garantire omogeneità e vivacità coloristica nel fumetto, si utilizzano pennarelli appositi come i Pantoni che io stessa ho usato per la storia del cane Tago delle Collezioni Comunali d’Arte, e la cui resa è pari a quella di una pagina stampata; o in alternativa si sceglie direttamente la creazione su tavoletta grafica. Sono tutti strumenti ‘moderni’, e invece le matite mi hanno ricordato un po’ ‘le origini’. Realizzare fumetti è per me fonte di grande ispirazione e libertà espressiva: posso raccontare le storie dei musei rendendole mie”.
Come costruisce una storia? “Prima mi documento tantissimo e visito i musei più e più volte, anche nel corso del lavoro. Poi scelgo in genere un personaggio guida e lo uso come colonna portante del racconto. Costruisco una sorta di fiaba che accompagna il mio protagonista di avventura in avventura all’interno del museo. E diversi dettagli mi vengono in mente proprio mentre sto creando la storia”.
Le capita di trovarsi a corto di idee, senza ispirazione? E se sì, dove la ‘recupera’? “Nei musei non capita mai! Sono così pieni di storie da raccontare che si ha solo l’imbarazzo della scelta!”
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