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Come i Millennials ci cambiano la cultura: 5 dritte per attirarli nei musei

Come i Millennials ci cambiano la cultura: 5 dritte per attirarli nei musei

5 Marzo 2016
Per gli esperti di marketing sono un’ossessione: sono i Millennials, la generazione Y cresciuta a pane e internet. La generazione che non visita più i musei. Cosa fare, dunque, per attirarli? Cinque dritte per trasformare i Millennials nelle rock star del museo di domani
I visitatori dei musei di oggi li abbiamo studiati in lungo e in largo, e ormai di loro possiamo dire di conoscere davvero di tutto. Cosa sappiamo, invece, dei visitatori di domani? I Millennials, o generazione Y, sono i nati tra il 1980 e il 1995, e sono la generazione più popolosa di sempre. Una marea di giovani che già da qualche anno è l’ossessione degli esperti di marketing. E non va nei musei: dedica ai musei solo una piccolissima parte del budget per il tempo libero, molto meno di quanto spende per altre attività come mangiare fuori, andare al cinema, a teatro o in palestra. Meno della metà visita forse un museo all’anno – rileva una ricerca dell’agenzia di marketing Futurecast pubblicata nel suo blog Millennials Marketing – ma la maggior parte non ne visita nessuno. Eppure, quando vengono intervistati, i Millennials dicono di amare i musei e sostengono che siano un valore aggiunto alla società.

Cosa fare dunque per attirarli, per trasformarli in visitatori felici, soddisfatti e con una voglia matta di tornare al nostro museo? Ecco cinque dritte su come trasformare i Millennials nelle vere rock star del museo di domani!

1.  Un’esperienza unica al prezzo di un caffè

Avendo avuto la fortuna (e il tempismo) di lanciarsi speranzosi nel mercato del lavoro, proprio quando sotto di loro si spalancava il buco nero della crisi globale, per i Millennials il prezzo è un fattore importantissimo. Secondo una ricerca recentemente resa pubblica dal gruppo Goldman Sachs, i Millenials sono sempre alla ricerca di cose gratuite o economiche da fare, e più giovani in particolare, sono sempre alla ricerca di sconti.

Quindi via libera nei musei ad attività ed eventi gratuiti, all’ingresso ridotto durante certe ore del giorno quando il flusso dei turisti è meno consistente, e serate speciali dedicati ai giovani a prezzo contenuto.
Lo sconto famiglia va bene, ma fino ad un certo punto: i Millennials infatti si sposano e fanno figli sempre più tardi, e nel frattempo si godono gli amici. Allora perché non pensare a una bigliettazione ad hoc del tipo “entri in due paghi uno” oppure “aperitivo al museo, ingresso intero ma prosecco in omaggio”?

Hanno già sperimentato iniziative di questo tipo il Museo dell’Università della Pennsylvania, che regolarmente organizza l’evento “Mummies and Martinis”, o il MADRE di Napoli che con i suoi appuntamenti serali “Museum Party” ha dimostrato che ai Millennials quest’idea piace molto!

2. Spettatore a chi?!

“Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”, aveva predetto l’artista visionario Andy Warhol, e grazie ai social network, per la generazione Y questa oggi è realtà. Non esiste generazione più egoriferita e non si fanno certo impressionare dallo status di chi gli si para davanti. Avere un personale formato in maniera eccellente a livello accademico può essere estremamente importante per la precisione dei contenuti scientifici, ma non è questa la chiave per attirare e stupire questa generazione iper-istruita (oltre il 60% dei Millenials ha almeno una laurea triennale). Secondo la ricerca di Futurecast, circa l’80% di loro vuole essere intrattenuto, mentre il 40% vuole partecipare nel processo creativo di prodotti e marchi.
Cosa vuol dire questo per i nostri musei? Bisogna fare appello alla loro forte personalità e coinvolgerli in prima persona non solo con attività all’interno del museo, ma proprio nella creazione dei contenuti. Nell’industria dei viaggi e del turismo, per esempio, una tendenza che sta crescendo in maniera sistematica è quella del crowdsourcing per hotel e attività ricettive. In pratica, i possibili clienti di un hotel si trovano sul web e collaborano all’ideazione e alla progettazione della struttura dall’inizio alla fine, in base alle loro competenze. Questo processo stimola la curiosità e la creatività dei Millennials che, creando qualcosa, stabiliscono un legame fortissimo con questo prodotto.

Perché allora non farlo anche nei nostri musei? Magari aprendo i depositi e organizzando insieme, sul web, con utenti di tutto il mondo, una mostra che rifletta i loro gusti e i loro interessi? Per esempio, il progetto “Micropasts” del British Museum, in partnership con l’University College of London e l’Arts and Humanities Research Council, ha avviato un’importante attività di schedatura di reperti e realizzazione di modelli 3D in crowdsourcing, e oggi conta piu’ di mille utenti registrati.

Millennials al museo

Millennials al museo. Photo by C. Derouene

3. In rete per valutare…

I Millennials sono la prima generazione al mondo che è stata oggetto di campagne di marketing fin dalla prima giovinezza, e il risultato è che non si fidano della pubblicità. Il Pew Research Center, nel suo ritratto generazionale dei Millennials, sostiene infatti che la generazione Y preferisce consultarsi con i coetanei per determinare il merito di un sito web o di un prodotto: il giudizio di “persone come loro” è considerato più credibile di qualsiasi campagna promozionale, perché disinteressato e “testato sul campo.”

Questo non significa che decenni di marketing culturale vadano buttati dalla finestra, ma forse è il momento di cominciare a prestare più attenzione a cosa dicono gli utenti dei nostri musei su TripAdvisor, per esempio. Second il Pew Research Center, il 70%  dei Millennials infatti sente la responsabilità di condividere la propria esperienza – sia buona o cattiva – con la comunità online. Insomma, un Millennial felice di una visita al museo può essere il miglior ambasciatore di sempre!

Un’altra risorsa sono i blogger che si occupano di viaggi e turismo. Sono numerose ormai le organizzazioni che invitano blogger per visite speciali per poi recensire l’esperienza sui rispettivi blog. In campo museale gli esempi ancora scarseggiano, ma chi non si è tirato indietro – come la Galleria degli Uffizi di Firenze con l’iniziativa #UFFIZIARCHEOLOGIA o il Parco archeologico di Classe nel giorno della sua inaugurazione l’estate scorsa – si è detto molto soddisfatto dei risultati.

Millennials, museo

Millennials al museo. Photo by C. Tai

4. …ma offritegli la possibilità di staccare la spina

I Millennials sono i nativi digitali per eccellenza. Cresciuti a pane e internet, secondo la ricerca Futurecast, la generazione Y spende circa 18 ore al giorno utilizzando media di vario genere, 5,4 delle quali sono spese sui social network. E ovviamente si aspettano che una visita al museo rispecchi perfettamente il loro stile di vita digitale. Ormai la maggior parte dei principali musei nel mondo si stanno attrezzando con tecnologie ultramoderne e all’avanguardia che possano essere di supporto alla visita e migliorare la comprensione e il godimento della loro collezione. C’è chi ha introdotto i QR code, schermi con ricostruzioni 3D e esperienze multisensoriali e c’è anche chi sta testando i Beacon (un’app che attraverso la tecnologia Bluetooth è in grado di trasmettere informazioni a smartphone e tablet con un raggio di azione regolabile dai 10cm ai 70m). Tutte ottime idea, ma a quanto pare per i Millennials questo può essere addirittura un po’ troppo.

Certo, si aspettano di reperire tutte le informazioni necessarie alla visita sul web e di interagire con il museo sui social, ma un volta entrati, la storia cambia. Come ha sottolineato Scott Stulen, curatore dell’Indianapolis Museum of Art, alla conferenza Indy Redefined nell’ottobre 2014, la generazione Y vuole andare al museo per staccare e allontanarsi dalla tecnologia, anche solo per un po’. Per loro il museo deve essere un centro d’intrattenimento intelligente, in cui poter ammirare qualcosa che è unico e irripetibile e staccare dalla frenesia della vita iper-connessa e frenetica di tutti i giorni. Quindi tecnologia sì, ma con dei limiti.

Millennials, museo

I Millennials vanno al museo per staccare la spina.

5. Che sia per una buona causa

La maggior parte degli studi concorda infine che ai Millennials sta a cuore “fare del bene”, e sono i consumatori più socialmente consapevoli fino a oggi. Questa è una buona notizia per organizzazioni non profit che sopravvivono grazie alle donazioni dei propri sostenitori, e quindi, perché no, anche per i musei. E’ vero, prima abbiamo detto che per la generazione Y i soldi sono un problema, ma quando si tratta di una buona causa, non si tirano indietro.
Negli Stati Uniti i musei dove si spiega chiaramente che il biglietto d’ingresso va a sostenere azioni di restauro, conservazione o addirittura attività educative con gruppi socialmente deboli, hanno registrato le più alte presenze di Millennials. Al McNay Art Museum per esempio, eventi speciali al prezzo di circa 80 euro per finanziare l’ingresso gratuito ogni secondo martedì del mese, registrano regolarmente il sold-out.

I Millennials sono fondamentalmente idealisti, e se percepiscono di potersi fidare della missione di un’organizzazione, sono ben contenti di contribuire. Trasparenza diventa quindi parola d’ordine per la gestione dei fondi dei musei, meglio ancora se abbinati a campagne di restauro ad hoc, o attività speciali per la comunità.

Bene, e se dopo aver letto questo pezzo vi sentite schiacciati dal peso delle richieste di questi Millennials, preparatevi al peggio: la generazione Z (i nati tra il 1996 e il 2000), con una capacità di acquisto spaventosa e la soglia d’attenzione di un pesce rosso, è dietro l’angolo!

Autore

  • Anna Paterlini

    Da sempre grande appassionata di conversazioni casuali con sconosciuti, è determinata a dimostrare che gli archeologi sanno parlare con la gente normale. Ignorando attivamente il detto: “Non metter bocca, dove non ti tocca”, passa il suo tempo curiosando nei cervelli e nella psiche dei turisti che (non) affollano i nostri siti archeologici e musei. Il suo obiettivo è rispondere a una domanda precisa: se l’archeologia è un patrimonio di tutti, perché nessuno si sente suo orgoglioso proprietario?

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