I professori hanno una sfida da vincere: portare gli adolescenti al museo e far sì che si appassionino alle opere esposte. Ma come si fa? Si chiede la loro opinione. Questo è ciò che propone il volumetto Che cosa vedi? – Musei e pubblico adolescente, a cura della storica dell’arte Anna Chiara Cimoli, edito da Nomos Edizioni.
Il libro – un’ottantina di pagine estremamente dense di concetti e di esempi, la cui lettura è a tratti non troppo scorrevole – raccoglie sette contributi abbastanza diversi tra loro per stile e contenuti, in cui gli autori raccontano le loro esperienze con i teenager.
Le riflessioni sono emerse a maggio 2016 allo spazio BASE di Milano, durante una tavola rotonda organizzata per presentare il progetto omonimo, Che cosa vedi?, realizzato dal liceo Daniele Crespi di Busto Arsizio presso il Museo del Novecento di Milano e coordinato dalla stessa curatrice del volume.
Che cosa vedi: la scelta del metodo della peer education
La domanda “Che cosa vedi?” rappresenta una scelta di metodo: sottolinea l’intenzione da parte degli educatori di abbandonare la spiegazione ‘frontale’ delle opere d’arte, preferendo invece un lavoro costruito su misura con i ragazzi, a cui si chiede di discutere, fornire idee, elaborare soluzioni per rendere le opere fruibili anche dai coetanei. Il museo non è più solo il luogo della visita svolta insieme alla classe, ma diventa un laboratorio, un punto di incontro, di scambio e integrazione.
Non a caso, il tema della peer education, cioè letteralmente dell’educazione tra pari, con i teenager stessi responsabili della trasmissione del sapere ai loro coetanei, appare centrale in almeno tre saggi, da quello di Anna Chiara Cimoli che racconta la coprogettazione dei kit per la fruizione di alcune opere del Museo del Novecento di Milano, a quello di Lorena Giuranna, che parla della sua esperienza al MA*GA di Gallarate, in cui si sono messi in contatto diretto i ragazzi con gli artisti realizzatori delle opere studiate, al contributo di Federica Pascotto, che ha raccontato del progetto Detto tra noi nell’ambito di Palazzo Grassi Teens, in cui sono stati realizzati una app per la mostra Materia prima, un sito e un progetto di alternanza scuola-lavoro.
In tutti questi casi si introduce il concetto di classe capovolta, in cui il ruolo dell’adulto è quello di un facilitatore, più che quello di un insegnante e in cui l’espressione della creatività degli adolescenti risulta fondamentale per suscitare il loro genuino interesse.
Contrastare il bisogno di ‘Wow experience’ coi ricordi
Tra i diversi temi affrontati dal libro – per esempio come usare il museo per trasmettere non solo conoscenze, ma anche competenze, oppure come fare del museo un luogo vivo di incontro per la società – la riflessione di Stefano Laffi sulla (ri)educazione del pubblico adolescente, che l’autore chiama “Generazione Wow”, è sicuramente tra le più interessanti del volume.
Secondo Laffi, non esisterebbe più nulla in grado di stupire gli adolescenti (cioè di far dire loro, appunto, “wow”) perché gli oggetti di cui sono circondati, smartphone in primis, soddisfano in così breve tempo il loro bisogno di stupore, che non hanno più bisogno di utilizzare l’immaginazione. Questo comporterebbe due conseguenze: la prima è che i teenager mostrano disinteresse nei confronti degli oggetti contenuti nei musei perché non ne percepiscono l’eccezionalità e quindi non ritengono che abbiano un valore; la seconda è che proprio i musei, cercando di tenere il passo con i videogame e con gli effetti speciali di Hollywood, tentano di riprodurre quella ‘Wow experience’ di cui ragazzi sono avidi, senza però riuscirci fino in fondo.
Per restituire valore a una fruizione ‘lenta’ e meditata delle opere, la soluzione di Laffi – che forse è quella che ci interessa di più come archeologi – è stata di porre l’attenzione sul valore dei ricordi personali, chiedendo ai ragazzi del centro giovani di San Giuliano Milanese con cui ha lavorato, di allestire una ‘stanza delle meraviglie’ con oggetti del loro passato. Creando un legame affettivo con questi veri e propri reperti personali e riconoscendone il valore, secondo l’autore, è possibile per i ragazzi accettare l’idea che anche le opere (e i reperti) nei musei abbiano un loro valore intrinseco, trasformando così spettatori distratti in visitatori attenti e interessati.
Accessibilità e inclusione sociale
Da segnalare anche lo spunto di Maria Chiara Ciaccheri che parla di inclusione sociale e disabilità. Attraverso vari esempi di istituzioni museali nel mondo, si pone l’accento sull’esigenza di realizzare percorsi fisicamente accessibili agli adolescenti disabili (un target spesso dimenticato) ma allo stesso tempo non esclusivi o separati dal resto della classe in visita al museo. Accessibilità deve anche voler dire poter fruire delle opere insieme ai coetanei, senza discriminazioni, favorendo l’integrazione col proprio gruppo sociale.
Limiti
Che cosa vedi non è un libro facile e non è per tutti. Il vero target di riferimento di questa raccolta sono i professori e gli educatori alla ricerca di idee: attraverso le diverse case history si possono infatti trarre spunti per sintetizzare un metodo e impostare progetti con gli studenti. Un limite riguarda poi i contributi, che sono comunque molto parziali: vengono presi in considerazione solo i musei di arte contemporanea, mentre manca la voce dei progetti svolti in qualunque altro tipo di museo, da quelli archeologici, a quelli di scienze naturali o di scienza e tecnologia. Un volume che davvero vuole riflettere sul rapporto tra adolescenti e musei non avrebbe dovuto forse ampliare il proprio sguardo?
Che cosa vedi? – Musei e pubblico adolescente
A cura di Anna Chiara Cimoli
Nomos Edizioni
Euro 9,90
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