Raccontare la storia non è mai stato così divertente! Ne sono convinti gli storici Stefano Bartolini e Francesco Cutolo che condividono una grande passione e missione: ricostruire episodi della storia con i mattoncini Lego, così da unire ricerca e gioco e coinvolgere tutti. Da poco hanno anche lanciato il sito web Italian Brick History. Li abbiamo intervistati.
Che cos’è esattamente la Brick History e quanto è diffusa nel nostro paese?
SB: Con Brick History s’intende l’utilizzo dei Lego come vero e proprio medium espressivo e comunicativo. Si sfrutta cioè il gioco per coinvolgere tutti, adulti e bambini, nella costruzione di scene storiche che richiedono a monte studio, documentazione e scelte precise.
Altrove nel mondo sono già attivi diversi progetti che hanno preso il nome di Public Brick History, per sottolineare la dimensione collettiva e partecipativa dell’attività. In Italia, invece, è una novità assoluta. Finora c’erano solo i builder, cioè coloro che creano modelli a tema storico ma senza definirsi storici di professione. Sono piuttosto designer o artisti.
Perché la scelta dei Lego?
SB: Non è una scelta esclusiva. Nella mia attività di Public Historian utilizzo anche altri strumenti, soprattutto le fotografie. Ma i mattoncini sono di gran lunga il mezzo più innovativo, e per questo abbiamo dedicato loro un progetto specifico. Hanno il grande vantaggio di essere strumenti da costruzione decisamente facili e pratici. Ed è incredibile come catturano subito l’attenzione di tutti!
Come storici, quali sono le vostre attività e i vostri interessi?
SB: Sono un ‘Public Historian’: è la definizione che mi rappresenta meglio. Sono direttore di un’associazione culturale promossa dalla CGIL e quindi il tema della storia del lavoro è per me centrale. Poi faccio parte, come Francesco, dell’Istituto storico per la Resistenza di Pistoia dove ho mosso i primi passi come studioso. E nelle mie ricerche, ho sempre cercato la partecipazione dei cittadini. Per me l’accessibilità della storia è una ricerca e un impegno costanti. La storia è un processo condiviso, non solo proprietà di chi la fa, ma di tutti.
FC: Io sono dottorando in Storia contemporanea alla Scuola normale superiore di Pisa. Mi occupo della Prima guerra mondiale e studio le esperienze dei combattenti, e per l’Istituto storico per la Resistenza di Pistoia ho curato diverse mostre. Sono anche un grande appassionato di modellismo e giochi da tavolo.
Ma la storia è davvero alla portata di tutti?
SB: C’è un’innegabile frattura tra quel che facciamo noi e la società, e stiamo provando a sanarla. Tra la gente predomina quello che io chiamo ‘consumo culturale di massa della storia’: trasmissioni tivù e riviste propongono una narrazione fortemente selettiva che affronta temi sempre simili, senza variare il focus, mentre molti romanzi storici narrano vicende per nulla verosimili.
L’università non dà gli strumenti per colmare questa frattura, e quindi noi Public Historians proviamo a offrire un intrattenimento a tema storico basato su informazioni puntuali e veritiere.
I Lego sembrano perfetti per questo. Sono ‘democratici’, entusiasmano tutti. Come li usate?
FC: Il nostro progetto è solo agli inizi, nato come esperimento durante il lockdown. E ci siamo subito accorti di aver sottovalutato il problema economico: lavorare con i Lego in quantità importanti è molto costoso (e non voglio calcolare le spese sostenute finora, per non spaventarmi). In questo i Lego non sono molto democratici… Mentre lo sono per la loro capacità di raggiungere un pubblico veramente vasto.
SB: Proprio così! E abbiamo avuto riscontri molto positivi sui social, specie da adolescenti che già si cimentano nella ricostruzione storica. Quanto invece all’accessibilità economica, in realtà oggi esistono diverse aziende che producono mattoncini, oltre alla Lego, e con costi decisamente più modesti. Quindi si stanno democraticizzando anche il questo senso.
FC: E se al momento abbiamo lavorato da soli e autofinanziandoci, in futuro vorremmo trovare finanziamenti per condividere l’attività con altri: creare laboratori didattici nei musei o nelle scuole, dove i Lego sono già utilizzati, oppure nelle periferie, specie con famiglie che non possono permettersi l’acquisto dei mattoncini.
All’estero, poi, si organizzano dei veri e propri contest dove si confrontano le varie ricostruzioni, e sono popolarissimi. Sarebbe bello farli un giorno anche in Italia.
I modellini si montano e smontano, oppure no? E come si trasportano, una volta realizzati?
FC: In passato montavo e smontavo i modellini per riutilizzarne i pezzi, ma mi sono reso conto che non è sostenibile: richiede troppo tempo e non è pratico. Per il trasporto, invece, e per impedire che i modellini vengano maneggiati una volta esposti, esistono colle apposite.
SB: Io ho cambiato approccio da poco. Ho deciso di costruire scenari più o meno fissi dove creare poi una serie di ricostruzioni, così da far scorrere la narrazione in più fasi. Per esempio, ho appena costruito una fabbrica dove ambienterò l’inaugurazione e vari episodi della sua storia: gli scioperi, la movimentazione bellica, l’occupazione partigiana. In pratica, tutta la storia del Novecento d’Italia.
Come scegliete i soggetti? E a che livello di accuratezza arrivate?
FC: In genere il modello nasce da una combinazione di idee e suggestioni. Per l’ultimo che ho realizzato, per esempio, sono partito da una foto ma ho aggiunto anche altri elementi, rispettando sempre la verosimiglianza. I Lego consentono di rimanere fedeli al realismo senza scadere nella ricerca spasmodica del dettaglio.
SB: Perché l’eccesso di realismo genera fenomeni inibitori, specie nei più giovani. E noi non vogliamo affatto spaventare chi sta cercando di conoscere un determinato momento storico.
Da dove nasce il focus sulla storia sociale?
SB: Mi occupo da tempo di storia sociale, sia per interesse personale che per opportunità lavorative. Per le ricostruzioni Lego, però, c’è una ragione più precisa e importante. Vogliamo svincolarci dall’approccio ‘forte’ oggi diffuso che, legato al mondo del modellismo a tema militare, tratta la storia come se fosse solo storia militare. Il Lego offre in realtà una chiave di accesso a un mondo molto più ampio e variegato. È una sfida complicata perché per la storia sociale non esiste un immaginario già consolidato, ma proprio per questo si possono per sviluppare nuove idee, grazie al gioco.
Avete altri progetti nel cassetto?
FC: Certo! Vorremmo creare un gioco di ruolo che usi tutte le potenzialità educative e di ricostruzione storica che il Lego offre. Un gioco che consenta al giocatore di costruire un contesto e farlo evolvere nel corso del gioco: sarebbe istruttivo e divertente al tempo stesso. Per noi, insomma, è importante coinvolgere attivamente le persone. Il Lego ha una potenzialità immensa per avvicinare le persone alla storia e far sì che imparino divertendosi.
SB: Anche nel sindacato si usano i Lego a scopo formativo, per progetti di ‘costruzione delle idee’, e so che vengono utilizzati anche nei corsi di formazione per il management.
E per il sito web, quali sviluppi prevedete?
FC: Al momento, sul sito e sui canali social stiamo proponendo le varie costruzioni che abbiamo realizzato nel tempo. E per il futuro, ci auguriamo che diventino un punto di riferimento, un polo aggregante di tutti gli operatori culturali attivi nella Public History. E non solo.
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