“Hai mai pensato all’importanza dell’archeologia per la periferia?” Giorgio De Finis, direttore del neonato Museo delle Periferie, non ci aveva pensato. Lui che mira a fare del Museo un centro studi sulle periferie di tutte le metropoli del mondo, e sull’idea di periferico ovunque si trovi, ha pensato a tutto ma all’archeologia no.
Però ha colto subito la mia provocazione, e così ci saranno anche gli archeologi al suo iperbolico Festival delle Periferie accanto a urbanisti, architetti, sociologi, psicologi, storici, politici, artisti, musicisti, teatranti e chi più ne ha più ne metta. Anzi, ci saranno archeologi e cittadini assieme, perché i luoghi dell’archeologia servono davvero al benessere dei cittadini. Nelle periferie più che altrove.
Importanza dell’archeologia per la periferia
Perché, diciamolo chiaramente: i vincoli degli archeologi hanno difeso molte aree verdi dall’urbanizzazione selvaggia. Tante periferie del mondo hanno qualche fazzoletto di verde solo grazie all’archeologia. Ma non è solo questo. Il luogo antico è testimonianza viva della storia proprio vicino a casa, e crea in tutti noi un senso di appartenenza e di orgoglio. Non identità, perché non ha senso parlare di continuità con eventi tanto lontani nel tempo, e perché tutti i nostri quartieri urbani sono oramai multiculturali. Ma proprio per questo il monumento antico è spesso luogo d’incontro dove ragionare assieme sul passato, e conoscere meglio noi stessi, confrontandoci col passato. L’antico dà un senso a spazi nati con poco senso.
È accaduto spesso, quando ci sono stati impegno e volontà da parte di istituzioni e cittadini assieme. Il monumento ha contribuito a cementare la comunità e a stimolare la creatività contemporanea. Ed è stato motore di rinascita anche per persone con difficoltà che vi hanno trovato uno spazio ‘neutro’ dove potersi esprimere con libertà. Frequentare i luoghi d’arte ‘fa bene’ alla salute fisica e mentale dei cittadini e, quando questi si riuniscono in nome dell’arte, fa bene anche alla società.
Ma non scordiamo neppure il benessere economico che ne deriva. Un monumento ben gestito può creare lavoro e un discreto indotto. Non sarà mai come il Colosseo o Pompei, ma qualcosa può fare. Anzi, deve fare. Perché se gli investimenti pubblici iniziali sono indispensabili, poi i luoghi devono potersi in qualche modo autofinanziare. Sarà la sfida che lanceremo domenica in chiusura di dibattito, con l’esempio di Laura Leopardi dell’Associazione Quattro Sassi che sta sperimentando un avvio all’imprenditoria culturale lungo tutta la valle dell’Aniene.
Vogliamo il parco archeologico di Centocelle
Prima però racconteremo le peripezie e le lotte dei cittadini per avere parchi e archeologia. Ho chiamato Giorgio De Finis subito dopo aver visto lo slogan con cui il quartiere di Centocelle celebra quest’anno i suoi cento anni di vita: “Vogliamo il Parco archeologico di Centocelle”. Una celebrazione in nome dell’archeologia. E il simbolo è un’erma bifronte trovata in una delle molte ville romane rinvenute nel ‘parco’. Centocelle, insomma, ha uno sguardo volto al passato e uno al futuro. Il suo messaggio è: col passato si costruisce il futuro.
Quando potrà, però. Perché al momento le ville antiche sono chiuse da recinti e soffocate dall’erba alta. Solo alcuni pannelli mostrano quel che è stato portato alla luce con gli scavi degli anni Novanta. Da allora sono stati elaborati infiniti progetti e finanziamenti, ma poi i fondi venivano dirottati altrove. Ora i lavori sono ripresi: sarà la volta buona?
Tante grandi storie
Domenica racconteremo però anche storie di chi ‘ce l’ha fatta’. Come quella dell’Ecomuseo Casilino che in verità comprende anche Centocelle ma è il frutto di un’attività molto più ampia e diversificata. Nata nel 2012 dalla volontà di bloccare un tentativo di speculazione edilizia, grazie a un’attenta progettazione partecipata è giunta nel 2019 a costituire l’Ecomuseo. Noto a tutti. Più attivo che mai.
Ed è positiva anche la storia del Comitato per il Parco della Caffarella, costituitosi nel lontano 1984 sempre per arginare l’edilizia selvaggia. In quasi quarant’anni di battaglie, hanno realizzato un parco dove tutte le meraviglie archeologiche, geologiche, botaniche sono valorizzate al meglio. Hanno ottenuto finanziamenti, monitorato i lavori, allontanato presenze abusive, disinquinato le acque, curato la manutenzione, organizzato eventi di ogni tipo. E sono ancora in trincea, oggi più di prima.
Che dire poi del Museo di Casal de’ Pazzi? I cittadini hanno atteso vent’anni per vedere cosa c’era dentro quel capannone che, si vociferava, nascondeva meraviglie. Erano arrabbiati, si sentivano abbandonati da istituzioni che non permettevano loro di godere dell’unico luogo ‘civico’ del quartiere. Finalmente ha aperto le porte nel 2015 rivelando tutte le testimonianze di uomini e animali, e in particolare di elefanti, lasciate lungo il corso di un antico fiume circa 200mila anni fa. Ora è il centro del quartiere, il suo punto di riferimento.
E sono infinite le iniziative nate attorno a Settecamini, antico insediamento lungo l’antica via Tiburtina, per volere di archeologi e cittadini assieme. Troppo poche sono alfine andate in porto, ma hanno creato grandi opportunità. E continuano a farlo.
Save the date
Archeologia per la periferia è dunque sinonimo di battaglie di cittadini per poter godere di ciò che gli spetta. E battaglie di archeologi che vogliono caparbiamente difendere i luoghi, farli amare dalla gente, e insistere con le istituzioni perché portino avanti i progetti necessari. Il dibattito di domenica prossima, e quel che ne seguirà, riuscirà forse a far sentire alta la voce di tante periferie unite che chiedono una cosa sola: dare valore a ciò che, in ogni quartiere, è la leva principale per vivere a misura d’uomo.
Le storie che racconteremo domenica sono solo alcune tra le tante delle periferie di Roma, e del mondo intero. Sono esempi, a cui vorremo aggiungerne molti altri per mettere in evidenza l’importanza e l’urgenza del tema. E riflettere assieme su che fare, perché l’unione fa la forza.
Quindi, save the date! Domenica 23 maggio alle ore 12 al Teatro di Tor Bella Monaca a Roma e, ovviamente, online sul sito del Festival. Avrò accanto a me, a gestire il dibattito, l’archeologa Patrizia Gioia che, da poco in pensione dalla Sovrintendenza capitolina, ha seguito e combattuto per tante di queste storie. Se saremo tutti uniti domenica e dopo, lo dobbiamo a lei. Grazie, Patrizia.
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Qui sotto il programma, ma ora si può anche vedere il video dell’intero incontro. Un’ora, undici relatori. Tutti tostissimi e capaci di condensare in pochi minuti impegni e storie di generazioni di cittadini. Una vera summa di quanto la collaborazione tra archeologi e cittadini può produrre in termini di benessere culturale, sociale, economico. Da non perdere!
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