“Guarda Michele, lì ci sono gli archeologi che scavano”. Un papà e un bambino in scooter sono fermi davanti allo scavo Appia Antica 39, diretto dall’archeologa Rachele Dubbini dell’Università di Ferrara. L’occasione è ghiotta e mi intrometto subito: “Sapete che potete provare a scavare anche voi? Oggi è l’ultimo giorno, ma i lavori riprenderanno a settembre e potrete visitare lo scavo e anche vivere l’esperienza della ricerca. Fidatevi: merita! Cercate gli appuntamenti sui social, iscrivetevi su Eventbrite”. Gli occhi del bambino si illuminano, e il papà rincara la dose: “Possono venire anche le scolaresche? Mia moglie insegna, e queste sono le cose che la scuola dovrebbe fare, le esperienze che non si scordano più”. “Ma certo! Gli archeologi accoglieranno lei e i suoi studenti a braccia aperte”.
Appia Antica 39 uno scavo ‘politico’
È così che funziona ad Appia Antica 39: tutti i cittadini sono benvenuti. Sempre. Perché i beni culturali appartengono a tutti noi, ma anche perché gli archeologi scavano in un terreno pubblico e liberato solo di recente dagli abusivi, dopo anni di lotte civiche. Quello scavo, dunque, ha anche un significato ‘politico’ molto forte, come sottolinea giustamente Dubbini: è uno scavo fortemente voluto e progettato assieme ai cittadini, e restituisce godimento e conoscenza là dove c’era un abuso.
Gli studenti lo sanno: lavorare ad Appia Antica 39 significa imparare le tecniche di scavo ma anche a condividere l’archeologia con la gente. Il contratto che firmano lo dice chiaramente. Finalmente vedo il sogno di Archeostorie diventare realtà, il mantra che ci ha guidati quando nel 2015 siamo nati come gruppo, pubblicando il nostro primo libro. Abbiamo gridato a gran voce che la ricerca va condivisa con i cittadini, e chi non lo fa ruba lo stipendio perché non assolve ai propri doveri di ricercatore. Forse è ancora un’utopia, però è sempre più nutrita la schiera di chi prova ad applicarla, e ora ad Appia Antica 39 viene persino insegnata sul campo “per contratto”: gli studenti capiscono che ricerca e condivisione sono un binomio indissolubile.
Archeologia per tutti
Cosa fanno, dunque, gli studenti? Avevo già visitato lo scavo l’anno scorso (e per infos dettagliate sul significato del luogo e dello scavo, leggi il reportage di allora) ma solo con una visita guidata. Visita sicuramente molto dettagliata, narrata e coinvolgente, però nessuno di noi visitatori era sceso nello scavo. Ora invece sì. Divisi per gruppi, si viene affidati agli studenti che insegnano a scavare con la trowel, a compilare una scheda US, a relazionarsi con i resti umani, a lavare i cocci. È fantastico vedere sempre nuovi archeologi in erba. C’è gente che torna ripetutamente, per vedere i progressi dello scavo, per imparare sempre qualcosa di più, ma soprattutto perché si sente parte del progetto. E magari porta i pasticcini, il cesto di ciliegie, la torta fatta in casa: ad Appia Antica 39 ci si sente proprio “a casa”.
C’è anche chi cura la comunicazione social che è molto accurata e decisamente di successo. In Italia, tra gli account instagram di scavi archeologici, appiantica39 ha il più alto numero di follower, più di 13mila. Per uno scavo che al momento sta portando alla luce tombe di epoca tardoantica e imperiale (ma le sorprese sono dietro l’angolo), è veramente un bel numero. E i post sono divertenti e spiritosi, ma sempre precisi nel raccontare il lavoro, i lavoratori, i visitatori partecipi. Dalla tomba più semplice al mausoleo ricco di pitture e mosaici, tutto prende vita nei post, nei reel, nelle stories. Insomma coi social ci sanno proprio fare.
Archeologia delle emozioni
Ma fanno anche qualcosa in più. Ad Appia Antica 39 si parla persino di mindfulness e archeologia o, come la chiamano, ‘archeologia delle emozioni’. Quando l’ho saputo, ha subito detto “non fa per me”, e non ho partecipato. Però poi Silvia Baraldi, facilitatrice mindfulness, mi ha raccontato quel che fa, e mi sono pentita. Baraldi usa i ‘cocci’ per suscitare sensazioni e ricordi. Fa manipolare gli oggetti antichi, annusare e ascoltare i loro ‘suoni’. Stimola insomma ad andare oltre la dittatura della vista per creare connessioni col passato attraverso tutti i sensi. È quel che si cerca di fare sempre più anche nei nostri musei, ma qui c’è la potenza del contatto diretto e fisico coi nostri antenati attraverso i ‘cocci’ e la terra dov’erano immersi fino a qualche giorno prima. E c’è l’abilità di Baraldi nel far percepire il significato profondo.
Scopo ultimo di Baraldi, però, è far sì che ognuno trovi nei ‘cocci’ connessioni col proprio personale passato e i propri ricordi. Ed è quel che conta di più. Quel che noi di Archeostorie andiamo dicendo da tempo, e cioè che chiunque sa apprezzare le testimonianze del passato, se riesce a farle proprie e a capire che lo riguardano direttamente. Abbiamo realizzato un podcast, Masterpiece, proprio per stimolare le persone a cogliere connessioni personali con le opere d’arte, andando oltre il detto comune. Per invitarle a far rivivere il passato nel proprio presente. Ed è precisamente quel che insegniamo agli archeologi nei nostri corsi di comunicazione dei beni culturali.
Pare però che l’archeologia delle emozioni di Silvia Baraldi sia molto più efficace e potente di tutto quel che abbiamo ideato finora. Una vera scossa per l’anima che non scordi più. A settembre, quando lo scavo di Appia Antica 39 riaprirà, non mi tirerò più indietro. Ci proverò!
0 Comments