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Aida figlia di due mondi: la nascita di un’opera tra politica, arte ed egittologia - Archeostorie Magazine

Aida figlia di due mondi: la nascita di un’opera tra politica, arte ed egittologia

30 Marzo 2022
Al Museo Egizio di Torino, la mostra Aida figlia di due mondi ricostruisce la genesi dell’opera verdiana. Protagonista la moderna egittologia scientifica

“Questa nazione avrà per capitale Parigi, ma non si chiamerà Francia; si chiamerà Europa. Si chiamerà Europa nel XX secolo ma nei secoli seguenti, più trasfigurata ancora, si chiamerà Umanità”. Era il 1867 e nella Paris-Guide scritta per l’Esposizione Universale ospitata nella Ville Lumière Victor Hugo, dall’esilio di Guernsey, nella Manica, dove era stato costretto da Napoleone III, così vagheggiava il futuro del mondo e di una capitale che avrebbe raccolto e fuso insieme l’eredità di Atene, Roma e Gerusalemme.

Aida tra Europa e Oriente…

È da questo afflato universalistico e pacifista, intriso di fiducia nelle umane sorti e progressive, che bisogna partire per affrontare la nuova mostra del Museo Egizio di Torino, Aida. Figlia di due mondi, aperta fino al 5 giugno e sapientemente curata da Enrico Ferraris. Una rassegna che è soltanto la punta di un iceberg di conferenze, proiezioni e approfondimenti fruibili online partendo dal sito del museo, e che – come fanno notare Evelina Christillin e Christian Greco, la presidente e il direttore dell’Egizio, nell’eccellente catalogo con contributi internazionali edito da Franco Cosimo Panini – permette di immergersi nella storia di un secolo cruciale nei rapporti tra Europa e Oriente, riflettendo sulla complessità dei nodi che ancora avviluppano il presente.

L’occasione sono i 150 anni del capolavoro verdiano, che stranamente nessun grande ente musicale aveva finora pensato di celebrare. Perché, allora, proprio nel museo che, primo nella storia, da quasi due secoli raccoglie le testimonianze della più antica civiltà del mondo?

…ed egittologia scientifica

Beh, intanto, ovviamente, perché lo sfondo dell’opera è l’Egitto dei faraoni. Poi perché all’origine di tutto – autore del soggetto, del progetto dei costumi e delle scene – è Auguste Mariette, un padre della moderna egittologia scientifica, che, partito come insegnante di francese, latino e (bizzarramente) disegno nella natìa Boulogne-sur-Mer, era asceso al Cairo alle massime responsabilità nella tutela e nell’organizzazione del patrimonio archeologico locale. Ma soprattutto perché l’Aida, mettendo insieme musica, documentazione materiale e iconografica, è la prima compiuta rappresentazione artistica della civiltà dei faraoni per quello che è stata, oltre le tendenziose reminiscenze bibliche e gli esotismi di maniera. Punto d’arrivo di un movimento di idee in circolo già da alcuni decenni lungo l’asse tra il Nilo e Parigi.

Tutto era cominciato con la fallita spedizione militare di Napoleone Bonaparte, tra il 1798 e il 1801, che aveva avuto però la conseguenza di liberare l’Egitto dal secolare dominio dei Mamelucchi e aprire la strada a un nuovo governatore ottomano, il viceré Mohammed Ali, che non faceva il pugile ma a modo suo, su un piano culturale, faceva a pugni con il governo centrale della Sublime Porta, per affermare l’identità del Paese e propiziarne l’ingresso nella modernità guardando all’Europa. E segnatamente alla Francia.

Seguirono anni di fitti scambi, con i futuri funzionari egiziani mandati a studiare a Parigi, mentre una spedizione franco-toscana guidata da Jean-François Champollion, il decifratore delle stele di Rosetta, produceva un rapporto per mettere in guardia il viceré dalle razzie dei collezionisti europei, ponendo per la prima volta la questione della tutela. Tutti questi passaggi sono illustrati nella mostra dalla relativa documentazione testuale, con freccette rosse a evidenziare i passaggi chiave.

Auguste Mariette e l’Egitto

E si arriva così alla metà del secolo, quando Mariette, dopo aver riempito fogli su fogli di abili caricature in stile Daumier (ampia selezione su un’intera parete), è finalmente riuscito a entrare al Louvre con un piccolo incarico di catalogatore: fin dal ’42, da quando al museo della sua città era arrivato un sarcofago con tanto di mummia, si è appassionato di antichità egizie, e tanto briga finché nel 1850, a 29 anni, trova il modo di farsi mandare in Egitto con un finanziamento di ottomila franchi per acquistare alcuni papiri copti. La missione fallisce, ma l’intraprendente Auguste si tiene i franchi e senza neppure informare il Louvre, e senza i necessari permessi, assume trenta operai e inizia uno scavo a Saqqara.

La fortuna gli arride: seguendo la traccia di una serie di piccole sfingi affioranti dalla sabbia arriva all’ingresso del Serapeum di Menfi, la necropoli dei sacri tori Api, ricca di oltre settemila reperti tosto spediti in Francia. Per Mariette è la consacrazione. Tre anni dopo si sposta nella piana di Giza, scopre il tempio a valle della piramide di Chefren, il faraone della IV dinastia vissuto 4500 anni fa, e la celebre statua del sovrano che ora è una delle vedettes del museo del Cairo. Rientrato in Francia, nel 1854 viene nominato Conservatore aggiunto del Louvre. Ma ormai le sue mire sono altrove.

Mariette vuole tornare in Egitto e sottopone al nuovo khedivé, il viceré Said Pascià, ultimo figlio di Mohammed Ali, un dettagliato piano per la salvaguardia del patrimonio archeologico. Come conseguenza, nel 1858 viene nominato mamur al-antiqat, Direttore delle antichità, e inizia a lavorare al progetto del Museo di Bulaq, al Cairo. Per quella che sarà la prima collezione egittologica in terra d’Egitto, inaugurata nel 1863, mette a punto una originale narrazione che mescola i criteri scientifici con l’intrattenimento in una moderna idea di comunicazione verso il pubblico più vasto dei non esperti.

Aida figlia di due mondi teatro

Modellino in legno del Teatro dell’Opera del Cairo con scena basata sui bozzetti di Mariette, realizzato dal Teatro Regio di Torino – foto Museo egizio Torino

Museografia moderna

Ho cercato una certa mise en scène, spiegherà, “che la fredda regolarità dei nostri musei d’Europa di solito esclude. È certo che, come archeologo, io sarò abbastanza propenso a criticare queste inutili esibizioni che in nessun modo giovano alla scienza; ma se il museo così organizzato piace a coloro a cui è destinato, se questi vi ritornano spesso e tornandovi si inoculano, senza saperlo, il gusto dello studio e, oserei quasi dire, l’amore per le antichità egizie, il mio scopo sarà raggiunto”.

Gli stessi criteri Mariette applicò nell’allestimento del padiglione egiziano all’Expo parigina del ’67, quella che sciolse gli entusiasmi universalistici di Victor Hugo, curando ogni dettaglio dell’edificio, concepito come un pastiche di stili e di epoche differenti della trimillenaria storia egizia finalizzato a valorizzarne l’identità culturale rimarcando nel contempo la differenza rispetto al periclitante impero ottomano. Un’anticipazione in chiave architettonica di quanto avverrà di lì a pochi anni con l’operazione Aida.

Ismail Pascià e Verdi

Ma, appunto: e l’Aida? Ci arriviamo. Prima però bisogna passare attraverso lo scavo del Canale di Suez, avviato da Said Pascià su sollecitazione (guarda caso) di un ingegnere francese, l’amico Ferdinand de Lesseps, e completato nel 1869 dal suo successore Ismail come ulteriore e decisiva tappa nell’apertura dell’Egitto all’Europa e al mondo moderno, nonché ai primi esperimenti di turismo organizzato. Per l’inaugurazione il viceré, che due anni prima all’Opéra di Parigi aveva applaudito il Don Carlos di Verdi, vorrebbe tanto avere un inno del Maestro italiano, ma l’interessato rifiuta la pur lauta offerta perché refrattario ai componimenti d’occasione. Nondimeno, il 1° novembre di quello stesso anno, sarà un’opera verdiana, il Rigoletto, a aprire la stagione del neonato Teatro Khediviale, il primo tempio lirico del Cairo (che andrà distrutto in un incendio nel 1971).

Le premesse del rapporto sono dunque poste. E si concretizzano nei mesi successivi quando Ismail Pascià, che non demorde dalla sua aspirazione, incarica Mariette di scrivere un soggetto comprensivo di scene e costumi in stile “strictement égyptien”: avvalendosi all’uopo delle sue competenze maturate sul campo e delle principali fonti iconografiche dell’epoca, dalla fondamentale Déscription de l’Égypte di Denon ai lavori di Lepsius, Rosellini, Prisse d’Avennes, Lefebvre. Un progetto in cui le intenzioni politico-ideologiche si intrecciano, alimentandole, a quelle culturali.

Come osserva in un saggio fuori catalogo Stefano Baia Curioni, docente alla Bocconi e studioso dei processi di produzione culturale, “l’opera d’arte prende forma come esperienza individuale e collettiva da aspirazioni, attese, conoscenze, contesti che ne determinano profondamente i modi e le forme” ma nello stesso tempo “impone o suggerisce la creazione di mondi e talvolta, con la sua suggestione narrativa, arriva a restituire ai suoi luoghi di origine imprevedibili energie di mutamento e insperabili possibilità di senso”.

Ricevuto l’incarico, Mariette si mette al lavoro di buona lena, consapevole delle difficoltà – “Credetemi, per seguire le istruzioni che il viceré mi ha dato, per fare una messa in scena dotta e pittoresca, bisogna mettere in moto tutto un mondo”. Ma il gioco vale la candela. Vale l’Aida. Di fronte alla tragica storia di fantasia della bella principessa etiope finita schiava a Menfi in seguito alla sconfitta militare del re Amonasro, che ama ricambiata il giovane comandante egiziano Radamès conteso anche dalla figlia del faraone, Amneris (tutti nomi attestati nelle fonti antiche, appena un po’ riadattati: per esempio Aida era in origine Aita, musicalmente più ostica), e di fronte anche a un compenso esagerato di 150 mila franchi, questa volta Verdi pronuncia il sospirato sì. È lo stesso compositore, in un documento esposto in mostra, a raccontare come infine si convinse, grazie ai buoni uffici di Camille du Locle, direttore dell’Opéra-Comique di Parigi e già autore del libretto di Don Carlos.

carteggio Aida

Dall’Archivio di Stato di Parma, le carte manoscritte di Verdi, Du Locle e Ghislanzoni da cui si ricostruisce l’evoluzione del libretto di Aida – foto Museo egizio Torino

Aida figlia di due mondi

Nel giugno del 1870 Du Locle comincia a scrivere i dialoghi in prosa, ai primi di luglio il Maestro si mette all’opera con il poeta Antonio Ghislanzoni per tradurli in versi. Scrupoloso e professionale come sempre, attento a ogni minimo dettaglio che possa rendere più verisimile il risultato finale, Verdi si informa su come vestivano i sacerdoti di Menfi, sulla distanza esatta tra Menfi e Tebe e sul tempo necessario per percorrerla, sulla forma e il suono di quegli strani strumenti musicali che si intravedono a volte nei papiri.

Gli viene proposta la ‘flute egiziana’ fatta fabbricare da un certo Fétis, musicologo belga, che in una lettera a un amico lui liquida così: “Io detesto questo Gran Ciarlatano […] perché m’ha fatto correre un giorno al Museo Egiziano di Firenze per esaminare un Flauto antico su cui pretende nella sua Storia Musicale d’aver trovato il sistema della musica antica Egiziana. […] Figlio d’un cane! Quel famoso Flauto non è che un zuffolo a quattro buchi come hanno i nostri pecoraj! Così si fa l’istoria! E gl’imbecilli credono!”. Il Maestro si placa soltanto quando gli viene messa davanti quella specie di tromba lunghissima e esile, con un unico pistone, che compare in gran numero nella Marcia trionfale (esposto un esemplare, dal Conservatorio di Torino).

In cinque mesi di lavoro alacre, e nonostante le difficoltà dovute alla guerra franco-prussiana scoppiata in quello stesso mese di luglio, con Du Locle e Mariette chiusi nella Parigi assediata e costretti a comunicare con l’esterno ‘par ballon’, il libretto è compiuto. Ma la data del debutto deve slittare. Verdi utilizza l’attesa per rivedere e bulinare fino all’ultimo la sua opera. Nelle vetrinette della mostra, le partiture autografe consentono di apprezzare alcuni cambiamenti dalla versione del 1870 a quella definitiva dell’anno seguente. Tra le più rilevanti, l’assenza nell’originale della celebre romanza di Aida “O cieli azzurri, o dolci aure native” e il ridimensionamento della parte di Amneris nella scena finale, che da sei versi (“Riposa in pace / Alma adorata // E perdonata / Possa morir // Sia perdonata / Chi t’ama ancor”) passa a due soli (“Pace t’imploro – martire santo / Eterno il pianto – sarà per me!”), per riequilibrare un’opera che più della principessa etiope ha per protagonista la complessa figura della figlia del faraone.

Tra Cairo e Milano

Il 24 dicembre 1871, al Teatro Khediviale, l’attesa première, assente il compositore timoroso della traversata in quella “bendèta pocia” (benedetta pozzanghera) che è il Mediterraneo. In ogni caso per lui la vera prima era quella fissata per l’8 febbraio ’72 alla Scala di Milano, davanti al suo pubblico e con un cast più prestigioso. Sciaguratamente spoilerata dal critico musicale Filippo Filippi, che aveva seguito le recite al Cairo dandone puntuale entusiastico riscontro sul quotidiano milanese La Perseveranza, con gran dispitto di Verdi che deprecò la mobilitazione di “Giornalisti, Artisti, Coristi, Direttori, Professori et. et… [sic] . Tutti devono portare la loro pietra all’edifizio della réclame, e formare così una cornice di piccole miserie, che non aggiungono nulla al merito di un’opera, anzi ne offuscano il valore reale (se ne ha)”.

Come sono cambiati da allora i tempi! Il tempo perso a causa della guerra aveva consentito a Verdi di portare alla perfezione il suo capolavoro, ma l’altra faccia di quel tempo è una gigantografia che campeggia verso la dirittura d’arrivo della mostra: vi si vede Parigi devastata dalle bombe prussiane, ma il pensiero corre inevitabilmente ad altre immagini di questi giorni. Un secolo e mezzo dopo, la storia contraddice il sogno di Victor Hugo (ma ciò non toglie che avesse ragione di sognarlo).

(copyright Linkiesta)

 

Aida, figlia di due mondi
a cura di Enrico Ferraris
Torino, Museo egizio, fino al 5 giugno 2022
Catalogo Franco Cosimo Panini
info www.museoegizio.it

Autore

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    Maurizio Assalto (Torino 1960), giornalista, laureato in Filosofia antica, fino al 2021 ha diretto le pagine culturali della Stampa e attualmente tiene una rubrica sugli usi e abusi della lingua italiana sul quotidiano online Linkiesta. Ha pubblicato tra l’altro il romanzo Se verrà domani (Cairo 2013) e il volume di racconti Delitti così (L’Erudita 2017)

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