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Al Riparo del Broion, scoperti i più antichi Homo sapiens dell’Italia del nord - Archeostorie Magazine

Al Riparo del Broion, scoperti i più antichi Homo sapiens dell’Italia del nord

23 Gennaio 2019
La scoperta è dei ricercatori dell’Università di Ferrara: gli oggetti trovati a Riparo del Broion (Vicenza) lo identificano come il più antico sito abitato da Homo sapiens in Italia settentrionale

Homo sapiens (per intenderci, noi!) è il traguardo di un lungo cammino evolutivo che ha portato il genere umano a prendere il sopravvento in tutto il mondo. Per questa ragione, capire come, dove e quando questa specie si è sviluppata è uno degli argomenti che più appassiona gli archeologi.

Homo sapiens e Neandertal

Le prime evidenze di Homo sapiens si hanno in Africa circa 300.000 anni fa: da qui è iniziato un lungo cammino che lo ha portato a occupare pian piano tutti i continenti. L’ingresso di Homo sapiens in Europa è un tema a dir poco scottante, in quanto il suo arrivo ha segnato (almeno cronologicamente) l’estinzione di un’altra specie umana che ha vissuto in Eurasia per centinaia di migliaia di anni, l’uomo di Neandertal.

Tradizionalmente, infatti, si considerava il passaggio dal Neandertal al Sapiens come l’evento segnante della transizione dal Paleolitico Medio al Paleolitico Superiore, che ha portato con sé numerosi cambiamenti tecnologici e culturali. Nello specifico, si associava il Musteriano (la fine del Paleolitico Medio) all’uomo di Neandertal, e l’Aurignaziano (l’inizio del Paleolitico Superiore) all’Homo sapiens.

Tuttavia le ricerche hanno dimostrato che la situazione è molto più complessa, e che l’evoluzione umana deve essere vista non come una linea retta ma come un albero molto ramificato. Infatti, tra Musteriano e Aurignaziano esistono dei periodi cronologici, tra 44mila e 42mila anni fa, che vedono una convivenza, e probabilmente una mescolanza, tra Neandertal e Sapiens. Denominazione e limiti cronologici di questi periodi di transizione variano in base alle aree geografiche e alle evidenze archeologiche: in Italia, si parla di Uluzziano.

Uluzziano: che cos’è?

L’Uluzziano prende il nome dalla Baia di Uluzzo in Salento dove, precisamente nel sito di Grotta del Cavallo, questo complesso cultuale è stato identificato per la prima volta nel 1964. Da allora a oggi è stato riconosciuto solo in pochissimi siti del Mediterraneo centrale e del sud dei Balcani, e considerato la più antica espressione culturale dei primi uomini anatomicamente moderni nell’Eurasia occidentale.

L’Uluzziano è riconoscibile grazie alla presenza, tra i ritrovamenti archeologici, di strumenti in pietra scheggiata realizzati con particolari tecniche o morfologie, di strumenti ricavati da ossa animali e di perline ornamentali ricavate da conchiglie lavorate.

Recentemente, le ricerche condotte dall’Università di Ferrara hanno portato alla scoperta di un nuovo sito Uluzziano, il Riparo del Broion, il secondo scoperto in Italia settentrionale dopo la famosa grotta di Fumane nel veronese. Il Riparo allarga definitivamente l’orizzonte dell’espansione culturale uluzziana, fino ad ora relegata all’Italia del sud, collocando i primi uomini anatomicamente moderni anche nel nord della penisola, circa 44mila anni fa.

Riparo del Broion strumenti in osso

Strumenti in osso (punteruoli) provenienti dai livelli uluzziani di Riparo del Broion; nei riquadri in basso, le immagini delle tracce di lavorazione presenti sulla superficie degli strumenti, riconosciute tramite l’osservazione al microscopio

44mila anni fa al Riparo del Broion

Riparo del Broion si trova sui Colli Berici, a 135 metri sul livello del mare nei pressi del comune di Longare, in provincia di Vicenza. Si tratta di un riparo sotto roccia, una forma di abitato molto comune nel Paleolitico, costituito da una copertura creata in seguito al collasso di una parete rocciosa.

Le ricerche dell’Università di Ferrara sono iniziate nel 1998 e sono state portate avanti fino al 2008 dal professor Alberto Broglio. Nel 2015 le ricerche sono state riprese dal professor Marco Peresani e dal dottor Matteo Romandini, e finora hanno portato alla luce una sequenza stratigrafica che copre migliaia di anni di cultura paleolitica. Gli scavi sono ancora in corso.

Ma quel che rende importante il Riparo del Broion è proprio la scoperta di tre unità stratigrafiche appartenenti al complesso culturale dell’Uluzziano. Diversi specialisti sono intervenuti per lo studio della grande varietà di reperti recuperati. Tra questi, numerosi strumenti in pietra scheggiata che sono stati osservati e classificati in base alla loro morfologia e dimensione. Sono stati selezionati così più di 1200 reperti, che sono stati studiati singolarmente per capire il ruolo di ognuno di essi nel processo di produzione.

Scheggiare la pietra

La zona intorno al Riparo del Broion non è molto ricca di materia prima litica: gli studi, infatti, hanno dimostrato che per la produzione degli strumenti uluzziani è stata utilizzata selce proveniente da affioramenti vicini (Colli Euganei) ma anche lontani (Monti Lessini, a circa 60 chilometri di distanza).

I reperti litici più significativi sono i cosiddetti ‘pezzi scagliati’, realizzati cioè con una particolare tecnica di scheggiatura – tipica dell’Uluzziano – in cui si poggia il blocco di selce su una superficie dura che funge da incudine. Questa tecnica viene spesso praticata su strumenti già esistenti, che vengono in questo modo ‘riciclati’ e adoperati per altre funzioni.

Cacciare gli animali

I livelli uluzziani di Riparo del Broion hanno restituito anche moltissime ossa animali. Gli oltre 37mila frammenti recuperati sono stati identificati, separati in classi dimensionali e analizzati per poter identificare eventuali modificazioni antropiche. Nella maggior parte dei casi si tratta di tracce di macellazione (in gergo, ‘cut-marks’) dovute allo sfruttamento della carcassa dell’animale per fini alimentari o per altro, e di tracce da combustione dovute alla presenza di almeno due focolari.

Secondo le analisi archeozoologiche, gli elementi scheletrici ritrovati (soprattutto denti e ossa degli arti) appartengono a varie specie animali tra cui spiccano l’orso delle caverne, il cinghiale e i cervidi. Sono presenti anche ritrovamenti più rari come ossa di uccelli (tra cui il germano reale) e vertebre di pesce, probabilmente appartenenti a un luccio.

Lo studio dei reperti faunistici è molto importante perché fornisce informazioni non solo sulle faune cacciate dall’uomo, ma anche sull’ambiente circostante, che nel caso dell’Uluzziano di Riparo del Broion doveva essere costituito per lo più da foresta con zone umide.

Riparo del Broion conchiglie come ornamenti

Riparo del Broion. Ornamenti ottenuti da conchiglie marine (n. 1-5) e d’acqua dolce (n. 6). Nei riquadri, le immagini delle tracce di lavorazione osservate sulle conchiglie, al microscopio ottico e al SEM (a, g); nel riquadro h, invece, è possibile vedere le tracce del pigmento (ocra rossa) probabilmente utilizzato per dipingere la conchiglia e conservato per migliaia di anni

Realizzare strumenti in osso

Una più attenta analisi dei reperti recuperati dai sedimenti archeologici ha permesso anche l’identificazione di alcuni strumenti in osso. Per la loro realizzazione, dagli scarti del pasto venivano selezionate le ossa con morfologia simile a quella dello strumento desiderato, e poi venivano sagomante e appuntite con la pietra. A Riparo del Broion sono stati ritrovati quattro punteruoli, identificati grazie alla presenza di microscopiche raschiature sulla superficie dell’osso. Sono attrezzi tipici dello strumentario Uluzziano.

Ingioiellarsi

Infine, sono stati ritrovati dei frammenti di conchiglie adoperate come ornamenti personali, estremamente indicativi della cultura uluzziana perché rappresentano una delle manifestazioni simboliche di Homo sapiens.

Riparo del Broion ha restituito tre conchiglie marine provenienti dalla costa adriatica che, in quel periodo, era distante quasi 200 chilometri. Sono state prima lavorate con uno strumento in pietra per ottenere una superficie piatta, e poi segate per ottenere delle ‘perline’.

Un’altra conchiglia, stavolta di acqua dolce e di provenienza locale, è stata invece perforata per poi essere sospesa su un filo e probabilmente adoperata come collana; sulla sua superficie sono state trovate anche tracce di ocra rossa, un pigmento comunemente utilizzato nel Paleolitico.

Le deduzioni riguardo alla funzione degli ornamenti e degli strumenti, così come per lo sfruttamento delle ossa, sono state possibili grazie all’osservazione dei reperti al microscopio ottico e, per quelli più significativi, al microscopio a scansione elettronica (SEM).

L’approccio multidisciplinare impiegato nelle ricerche a Riparo del Broion ha portato alla pubblicazione, nei giorni scorsi, di un articolo scientifico sulla rivista internazionale Archaeological and Anthropological Sciences.

I protagonisti

Fin dall’inizio, le ricerche sono state condotte sotto la direzione scientifica dell’Università di Ferrara, grazie alla concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali, e con i contributi di Regione del Veneto, Comune di Longare (VI), Fondazione Leakey, Fondazione CariVerona e Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Recenti finanziamenti sono stati erogati dall’European Research Council (ERC) nell’ambito del Programma di Ricerca e Innovazione ‘Horizon 2020’ coordinato dal professor Stefano Benazzi dell’Università di Bologna.

Le nuove scoperte a Riparo del Broion hanno rivelato che questo sito è stato la meta di nuove popolazioni di Homo sapiens provenienti da est, portatrici di una nuova cultura e di nuove tecnologie. La particolare produzione di strumenti e l’utilizzo di ornamenti personali carichi di una valenza simbolica, rendono questa specie umana diversa da quelle che l’hanno preceduta.

C’è ancora molto da scoprire sul rapporto tra questi nuovi arrivati e i Neandertaliani già presenti sui Colli Berici: per saperne di più non resta che continuare a scavare.

Autore

  • Eva Francesca Martellotta

    Tutti da piccoli volevano fare gli archeologi. Beh, allora le possibilità sono due: o lei non è ancora cresciuta, o è parecchio testarda. O forse entrambe le cose. Sta di fatto che esami, tesi e CFU non le hanno ancora tolto quell’idea dalla testa. Innamorata dell’archeologia sperimentale, la sua missione è far sì che chiunque capisca il valore di ‘quei pezzi di pietra’ che gli archeologi tirano fuori dalla terra con così tanta, incomprensibile passione. La scienza ha dimostrato che tutti abbiamo un po’ di Neandertal dentro di noi, e lei è pronta a farlo uscire allo scoperto!

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4 Commenti

  1. Marco

    La datazione a 44.000 anni fa circa è attendibile?

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    • cinzia.admin

      Sì certo. Mi permetto, se le interessano le dinamiche del Paleolitico, di suggerire la lettura del libro di Marco Peresani Come eravamo. Viaggio nell’Italia paleolitica, pubblicato da Il Mulino.

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  2. Leila

    C’è un museo o qualcosa in zona da visitare con tutti questi reperti e la storia della zona? Cerca do su google non ho trovato nulla

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