La prima volta che mi hanno parlato di Seo, acronimo che sta per Search engine optimization (detto in italiano: ottimizzazione dei testi web per i motori di ricerca), ho immaginato cupi scenari distopici a metà tra quelli descritti nei romanzi di Orwell e di Asimov.
Ho pensato che da quel momento in poi il lavoro di scrittura degli articoli sarebbe diventato meccanico, privo di eleganza lessicale e di fantasia, costretto dalle maglie imposte dalle logiche di quella macchina senz’anima che è internet. Insomma, una schiavitù, un lavoro più per robot che per persone vere: che orrore!
Quando poi ho capito che si trattava semplicemente di dare a Google un aiutino per far trovare ai lettori i miei scritti, senza per forza perdere professionalità e personalità, ho tirato un sospiro di sollievo e ho cominciato a studiare.
Il mio capitolo sulla Seo in Racconti da museo parla in fondo di questo: di aiuti tecnici, di accorgimenti che ogni buon narratore sul web dovrebbe imparare a ‘masticare’ per evitare di farsi fagocitare dalla rete. Al giorno d’oggi chi scrive sul web non può permettersi di avere un’alfabetizzazione digitale zoppicante. Anzi, per i narratori museali che vogliano realmente rivoluzionare la comunicazione dei musei, è del tutto controproducente.
Obiettivo: farsi leggere
La domanda che sta a monte di tutto è: perché scriviamo? Perché ci impegniamo tanto per produrre uno storytelling di qualità in grado di raccontare musei, reperti e opere d’arte come nessuno ha mai fatto prima, e pubblichiamo i nostri contenuti sul web?
Risposta: perché vogliamo raggiungere nel modo più semplice e immediato possibile qualcuno che ci legga e che di conseguenza si lasci trasportare, emozionare, commuovere, convincere dai nostri scritti a prendere a cuore il patrimonio culturale. Il nostro obiettivo, quando scriviamo, è sempre e solo uno: raggiungere il lettore e instaurare con lui un dialogo. Altrimenti, che senso avrebbe scrivere quello che scriviamo nel modo in cui lo scriviamo?
Il passo successivo della riflessione è questo: come si fa a farsi leggere su internet? Cioè, come si fa a farsi trovare dal pubblico, e soprattutto da chi è interessato agli argomenti che proponiamo (il nostro ‘zoccolo duro’, la nostra nicchia a cui prima di tutto dobbiamo rivolgerci)?
Più che una rete, il web è un mare, anzi, un oceano, in cui galleggiano senza un ordine migliaia e migliaia di testi -alcuni di qualità elevata, altri semplicemente fake news o non-notizie- che concorrono per lo stesso obiettivo: farsi trovare. Ma chi trova i contenuti sulla rete? Chi li pesca? Li trova il motore di ricerca, che nella stragrande maggioranza dei casi è, per l’appunto, Google (domina il 70% del mercato).
La Seo, ovvero: come dare aiutini a Google senza perdere personalità
Ciò significa che quando scriviamo i nostri ‘racconti da museo’, quando descriviamo un personaggio antico o un oggetto, dobbiamo pensare anche al modo di ‘comunicare’ a questo benedetto motore di ricerca che noi ci siamo, esistiamo, che abbiamo prodotto un contenuto su quel particolare argomento, che quel contenuto è di qualità e che abbiamo tutte le carte in regola per comparire sulla prima pagina delle ricerche di Google. ‘Facendo le scarpe’ a tutti gli altri testi che invece, rispetto al nostro, ‘valgono’ meno.
La buona notizia è che gli algoritmi del motore di ricerca sono sempre più raffinati e sempre più tarati per riconoscere la qualità, la precisione, il grado di approfondimento di un testo (ottima notizia per un museo! Chi meglio del museo può raccontare i reperti nei minimi dettagli?). Sono tarati anche per riconoscere le famose ‘cinque W‘ giornalistiche (who, what, where, when, why) che informano il lettore di chi e di cosa si parla, e di dove, come e quando è avvenuto un fatto.
Tuttavia, Google è pur sempre una macchina, e per ‘pescare in fretta’ e incolonnare i contenuti migliori tra migliaia di testi che concorrono tra loro, usa dei trucchi. Esistono però alcuni accorgimenti – come per esempio individuare con chiarezza la parola chiave di un contenuto, inserire link specifici, curare con attenzione la divisione in paragrafi e così via – che permettono di ‘dialogare’ con il motore di ricerca e dirgli “Scegli me”, senza però snaturare il proprio testo.
Sono accorgimenti che possiamo applicare cum grano salis, ossia con buon senso e una certa dose di eleganza, senza per forza dover sembrare, appunto, dei robot. Ma che ci consentono di ‘dire’ chiaramente a Google che il nostro contenuto vale.
Pensiate sia fantascienza? In realtà, no. Su Racconti da museo vi do persino qualche dritta… Non vi resta che leggerlo!
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