Racconti da museo: quando ho incominciato a scrivere storie
Scrivo storie da… mi verrebbe da dire “da quando sono nata”, ma sarebbe una bugia. Scrivo storie esattamente dal settembre del 1980. Ero una bimbetta che frequentava la terza elementare. La maestra, il primo giorno di scuola, disse: “Adesso siete grandi, basta con i pensierini, quest’anno faremo i temi!”
Una lunga fila di pensierini
Io non sapevo cosa fosse un tema. La maestra mi spiegò che era una lunga fila di pensierini, però tutti sullo stesso argomento, perché dovevano raccontare una storia. Così mi trovai davanti al mio primo foglio bianco, a succhiare l’estremità della penna e pensare. Apparentemente ero immobile, ma era proprio solo apparenza: dentro la mia testa si erano scatenati interi mondi.
Tornai a casa entusiasta. Le manine sui fianchi e la voce decisa annunciai al mondo: “Da grande voglio fare la scrittrice!” E sparii. Per ore, dentro alla mia stanza. Mia madre, insospettita perchè non mi sentiva muovere, nè borbottare, nè canticchiare, nè fare i rumori soliti di una bambina che gioca, a un certo punto si preoccupò e venne a vedere cosa stessi combinando. Mi trovò seduta alla scrivania, china sul foglio. Non alzai nemmeno gli occhi, mi limitai a sventolare la manina per indicarle di andare via dicendo: “Mamma, lasciami stare, sto scrivendo il mio primo romanzo!”
Le storie sono vive
A scrivere storie ho cominciato allora, e non ho mai smesso. Nemmeno adesso che invece dovrei spiegare che, assieme agli amici di Archeostorie, ho scritto un saggio. Sul come si raccontano le storie che spingano la gente a visitare i musei, gli scavi archeologici, i siti del nostro passato.
Una storia non è una cosa. È più simile a un animale: ognuna ha il suo carattere. Ti ci devi avvicinare piano piano, conquistarti la sua fiducia, come con un cucciolo. Sta a te capire come devi interagire con lei. Ci sono storie nervose e veloci, che vanno raccontate di corsa, con il fiatone. Altre che sono placide, indolenti, un po’ pigre, che vanno assecondate nei loro tempi da signora pingue.
Tutti abbiamo bisogno di storie, come dell’aria che respiriamo. Noi esseri umani siamo una storia, la nostra, che costruiamo e impariamo a raccontarci e a raccontare agli altri ogni giorno.
Le storie come un arazzo
A me le storie piacciono, ovviamente. E più ancora mi piace la Storia, la narrazione con la S maiuscola che è la somma di tutte le storie particolari e individuali. È una specie di grande arazzo fatto innumerevoli fili che si intrecciano, si intersecano, o magari non si toccano mai perché sono ai due capi della stoffa, ma fanno comunque parte di un unico disegno.
Quando faccio storytelling, che poi è un modo inglese per dire che invento storie, mi sento proprio come un artigiano che tesse nel suo laboratorio un arazzo o un tappeto. Sta a me tracciare o scegliere i disegni da riprodurre, e cercare di accostare al meglio i colori, decidere gli intrecci, mischiare i fili.
La mia bottega artigiana
Per fare tutto questo ci vuole immaginazione, ma anche tecnica. Col tempo ho imparato una serie di tecniche, il mio bagaglio di artigiano, che ora ho messo nero su bianco in Racconti da museo perché anche altri possano conoscerle e usarle. Non è detto che siano tecniche universali, ma sono quelle che ho sperimentato in anni e anni di mestiere – sul blog prima, nei miei libri poi – e so che funzionano.
Per chi le legge possono rappresentare uno spunto, o qualcosa da discutere e perfezionare, o magari da lasciare per passare ad altro. Come capita dentro a tutte le botteghe artigianali, ci sarà poi magari qualche allievo più dotato che avrà intuizioni migliori o scoprirà qualcosa di più raffinato. Siamo nani sulle spalle di giganti, e ognuno è un piccolo pezzo di questa gigantesca piramide umana che è il sapere.
Quindi quello che vi offro in Racconti da museo è un tour nella mia bottega, per vedere come lavoro. Che dite, volete entrare?
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