Quando il vento si alza all’inizio d’autunno, trova le foglie degli alberi ormai fiaccate dalla fatica della bella stagione. Le guardiamo come fossero decorazioni dei nostri viali prima di Natale mentre da verdi diventano arancio e non ci rendiamo conto che stanno per cadere. Non ci rendiamo conto che hanno lavorato per noi. Non ci rendiamo conto di come ci abbiano donato ossigeno mentre producevano zuccheri per sostenere l’albero per cui vivono. Non ci rendiamo conto.
Sono belle e tanto basta. Sono belle anche gialle, arancioni, sono belle, e non ci rendiamo conto che sono solo arrivate alla fine del loro ciclo di vita. Tutto finisce. Questa è proprio la stagione giusta, il vento le stacca e le adagia per terra cullandole perché non sbattano. Fa bene, è saggio il vento, qualcuno deve pur prendersi cura dei loro ultimi istanti dopo tutto il lavoro fatto per noi. Così i viali si riempiono di un soffice tappeto color d’autunno.
Karim e le foglie
Anche Karim si prende cura di loro (e di noi) in un viale dell’Eur a Roma. Karim è un immigrato, magro ma robusto, ha gli occhi luminosi che guardano sempre un punto più lontano dell’orizzonte, più lontano del nostro sguardo. Si muove con agilità, lo ha visto fare agli animali selvatici nella terra dove è nato: afferra le foglie dalla strada e salta verso il mucchio dove le tiene insieme per evitare così che intasino i canali di scolo dell’acqua. Le accumula in piccole colline giallastre come ha visto fare al vento per la sabbia del suo deserto. Nessuno ha commissionato quel lavoro, nessuno lo ha richiesto, anche il vento del deserto lo fa senza che nessuno lo chieda. Nessuno sa quanto sia importante il suo lavoro ed è proprio perché nessuno lo sa che lui lo fa.
In terra, di fianco ai cassonetti dove le foglie poi finiscono, Karim ha messo un cartello per chi ancora non si rendesse conto che il suo lavoro, almeno un poco, va retribuito. Non ci sono tariffe, solo l’informazione sulla sua opera, tutto è lasciato alle possibilità e alla volontà di ciascuno di coloro che beneficiano della sua esistenza. Non è una richiesta di carità, questo no. Karim non chiede, Karim sa che il lavoro è la dignità dell’uomo, Karim è sbarcato con il nostro Articolo 1 della Costituzione cucito addosso e non lo sa. Quel cartello non chiede, informa, è un ‘segno’, rappresenta ben altro da sé.
Rocco e la neve
La vita è un film. Quante volte lo abbiamo detto? Quante volte l’ho sentito! Karim non lo sa, ma si chiamava Luchino Visconti, un genio che l’Italia ha regalato al mondo intero, e in un suo film, Rocco e i suoi fratelli (1960), racconta di una famiglia di emigrati lucani ‘sbarcati’ alla Stazione centrale di Milano con addosso solo paure e speranze, proprio come lui. La scena chiave con cui Visconti fa scoprire al pubblico l’intraprendenza, la visione futura, la responsabilità e la dignità in un colpo solo è affidata alla mamma di Rocco e dei suoi fratelli.
Un giorno d’inverno dalla finestra di un sottoscala dove la famiglia viveva, proprio lei si accorge che nevica. Nevica, nevica spesso a Milano d’inverno, molto più che in Lucania, e la mamma ha un’illuminazione uguale a quella che ha avuto Karim. Nel cortile è necessario sparlare la neve. Nessuno l’aveva incaricata di farlo, solo un colpo di genio: sveglia i figli e li manda a spalare. Così Karim il raccoglitore di foglie secche rappresenta, e non lo sa, Rocco lo spalatore della fantasia di Visconti. Questo è restauro di un film: scoprire che la verità, l’etica, il senso stesso della vita sono null’altro che l’invenzione di un artista, la rappresentazione di un mondo costruito a modello per tutti.
Archeologia del cinema
Karim dev’essere uno di quei sopravvissuti ai barconi che vediamo in televisione, dove la povertà e la speranza, la disperazione e la voglia convivono, sbattuti dalle onde del mare e da quelle della mafia. A bordo, una volta che dal barcone sono scesi tutti, si trovano solo stracci e puzza di nafta perché nessuno lascia a bordo anche solo un pezzetto di speranza. Se qualcuno perde la vita, la sua parte di speranza finisce negli occhi di un altro. Per questo lo sguardo va sempre più lontano del nostro.
Con quella speranza Karim costruisce la vita senza chiedere nulla più di ciò che gli spetta di diritto. Che bello che a Roma cadono le foglie dagli alberi! È una manna che cade dal cielo. È una lunga lotta, quella dell’emigrato, dalla Lucania come Rocco, dallo Zimbabwe come Karim poco importa: sono lo stesso personaggio, la stessa persona.
Il film di Visconti fu accusato di essere denigratorio e contro la morale fino a che, premiato alla Mostra del Cinema di Venezia, venne celebrato come uno dei capolavori della cinematografia di tutti i tempi. Agli emigrati tocca la stessa sorte: lo sanno bene gli italiani sbarcati in America e lo sa Karim, emigrato, impaurito, ma capace di costruire dignità con le sue stesse mani.
Rocco è nato dalla fantasia di Visconti e mai oserei, neppure per scherzo, accostarmi a cotanta altezza. Perciò non saprete mai se Karim stia davvero raccogliendo le foglie all’Eur o soltanto nella mia immaginazione. In fondo, che importa saperlo? La vita è solo un film.
0 Comments