Muri di blocchi di pietra levigati e sistemati con sapienza. E poi altri muri di pietre messe assieme alla rinfusa, ma comunque compatte. E tanti frammenti di ceramica fine, belli e decorati, che non lasciano dubbi sulla datazione: a Ischia, proprio a fianco di Villa Arbusto dove ha sede il Museo archeologico dell’isola, stanno venendo alla luce tracce di chi vi abitò dall’VIII secolo a.C. fino alla fine del VI secolo.
Tracce che potrebbero portare ulteriori conferme a quanto intuito già dagli anni Cinquanta del secolo scorso da Giorgio Buchner, il paladino delle ricerche archeologiche sull’isola, e cioè che Pithecusae, l’insediamento fondato dai Greci d’Eubea sull’isola, fu davvero la ‘prima colonia greca d’Occidente’ come aveva scritto già lo storico romano Tito Livio. Che Pithecusae fu grande e importante, e non un semplice scavo commerciale come da varie parti si sospetta ancora.
Scoperte a Ischia
A suo tempo Buchner trovò una delle necropoli di Pithecusae nella baia di San Montano, trovò l’acropoli sul soprastante Monte di Vico, e di là della valle rispetto al monte, sulla collina di Mezzavia, trovò un’officina per la lavorazione dei metalli. Ma era forte la sua convinzione che proprio su quella collina vi fosse tutta la parte abitata di Pithecusae.
E infatti negli anni Novanta, mentre stava lavorando all’allestimento del Museo che occupa il cuore della collina, andò a dare un’occhiata all’area a fianco della villa dove il Comune di Lacco Ameno progettava di costruire un centro congressi. Vide subito dei frammenti di ceramica dentro una fossa per conigli, una di quelle fosse dove gli ischitani allevano i conigli per fare robuste le loro carni. E bloccò subito il centro congressi.
Da allora, però, nessuno ha più indagato l’area, lasciata nel più completo abbandono. Anzi, col tempo è diventata una sorta di discarica che non fa certamente bella mostra di sé accanto alla Villa-Museo. Ma ora finalmente il Comune l’ha in parte ripulita, per consentire il nuovo scavo.
Ora infatti sono giunti a Ischia gli archeologi tedeschi Nadin Burkhardt dall’Università Cattolica di Eichstaett e Stephan Faust dall’Università di Oxford che – con un’équipe nutrita di specialisti e studenti, e grazie al finanziamento della Fritz Thyssen Stiftung – hanno deciso di indagare proprio lì.
Il nuovo scavo a Villa Arbusto
Da due anni, nel mese di settembre, Burkhardt e Faust scavano coi rifiuti accanto, caparbi come i tedeschi sanno essere. Ma anche perché sanno che quanto stanno portando alla luce è eccezionale. Non è ancora chiaro a cosa appartenessero i muri, se a terrazzamenti o edifici.
Diversi indizi parrebbero indicare che lì vi era un’area sacra: Burkhardt elenca i molti frammenti di tegole dipinte, quelli di louteria (bacini usati per contenere acqua durante i rituali), di scodelle per i pasti rituali, o lo scarabeo egizio. Ma parla anche di frammenti di pesi da telaio e di grandi contenitori per cibo in ceramica, che parrebbero rivelare la presenza di abitazioni importanti.
Solo la prosecuzione delle indagini potrà farci capire cosa esattamente sta venendo alla luce, ma già ora l’entusiasmo è palpabile tra l’équipe di ricerca. E inquieta pensare all’indifferenza che ha regnato finora in quel luogo.
Del resto, anche la stessa Villa Arbusto non gode di ottima salute: mantenere una struttura così grande, tra villa e giardini, è sicuramente troppo oneroso per un piccolo comune qual è quello di Lacco Ameno, peraltro ora impegnato nella ricostruzione post-terremoto.
Tuttavia non è possibile abbandonare al naturale degrado un luogo così importante per la storia del Mediterraneo tutto. Serve fare qualcosa. Il Comune va supportato. Al più presto.
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