Non sono solo tre storie, ma l’inizio di un progetto di condivisione con i cittadini della ricerca archeologica sulla via Campana, che culminerà in un totale riallestimento del Drugstore Museum (Roma, via Portuense 317). Un inizio col botto, perché la mostra Tre storie dalla via Campana è affiancata da: un convegno scientifico, una pubblicazione che unisce il racconto divulgativo alla trattazione scientifica, un festival per i cittadini tutti. La mostra è dunque il pretesto per coinvolgere nel progetto proprio tutti.
Un museo di prossimità
Perché questo fa il Drugstore Museum sin dai suoi esordi due anni fa, come noi di Archeostorie abbiamo già raccontato. È un museo ricavato nel piano terra di un palazzo, la cui costruzione ha rivelato l’esistenza di un’antica necropoli romana costruita, per l’appunto, lungo la via Campana. Una via antichissima che dal più antico ponte di Roma sul Tevere, il ponte Sublicio, portava ai ‘campi’ di saline (da qui il nome) sulla riva tirrenica. E che, quando l’imperatore Claudio costruì vicino a quei ‘campi’ il grande porto dell’urbe, tramutò il nome in Portuense. Non si sa ancora se, col nome, la via mutò in parte anche il tracciato, oppure no.
Fatto sta che negli ultimi decenni sono stati eseguiti molti scavi lungo il tracciato della via Campana da Roma al mare, perlopiù scavi cosiddetti ‘di emergenza’, cioè eseguiti in occasione di cantieri per la costruzione di edifici, strade, o per la posa di condutture. La necropoli del Drugstore Museum, per esempio, è stata scoperta già negli anni Sessanta del Novecento. Però, dopo un primo esperimento negli anni Ottanta, è diventata un vero museo solo adesso per la precisa volontà del vulcanico responsabile di zona della Soprintendenza speciale di Roma, Alessio De Cristofaro, e della soprintendente Daniela Porro. È diventata un ‘museo di prossimità’, cioè un luogo che racconta la storia antica e moderna del quartiere per e con i suoi abitanti.
Ricerche sulla via Campana
Tuttavia, i risultati degli scavi realizzati lungo la via sono ancora per buona parte inediti o poco conosciuti, non solo alla gente ma anche agli addetti ai lavori. Così De Cristofaro ha deciso di coinvolgere ricercatori per lo studio e la pubblicazione di tutto questo patrimonio. Il convegno scientifico è stato il primo momento di condivisione con gli addetti ai lavori di quanto fatto negli ultimi 30 anni, e la mostra è stata il primo momento di condivisione con i cittadini dei risultati più eclatanti. Per questo il convegno e la mostra sono solo un primo passo: perché preludono alla realizzazione, su solide basi scientifiche, del museo della via Campana tutta.
Tre belle storie
Ma cosa si vede ora in mostra? Tre piccoli gioielli. Non perché preziosi, ma perché ricchi di storie complesse. Gioielli di umanità che visti così da soli, con le loro storie attorno, non li scordi mai più. Il primo è un cippo che cita una coorte di pretoriani, la ‘guardia del corpo’ dell’imperatore, che in questo caso però è stata impiegata per dei lavori sulla via Campana, probabilmente già ai tempi dell’imperatore Augusto. Rivela quindi che i pretoriani svolgevano anche compiti di ‘genio militare’, ma soprattutto è la più antica testimonianza a Roma dei pretoriani e delle loro attività. Mica male, eh!
Poi c’è una testa di donna non finita, scolpita nel marmo dell’isola di Proconneso sul Mar di Marmara. Dallo studio si è capito che doveva essere la testa di uno di quei coperchi di sarcofago dove sono ritratti marito e moglie sdraiati a banchetto. Forse è stata già lavorata sull’isola e poi mai usata, oppure è stata collocata sul corpo così com’è. Di sicuro nel IV-V secolo è stata riciclata come inerte nel battuto della via Campana.
Infine si ammira una statuetta di bronzo del III secolo d.C. che è un vero enigma: è un uomo seduto su una roccia che diresti essere Orfeo ma in mano non ha la cetra bensì un agnello, e aveva sicuramente anche un bastone. Però non è un ‘buon pastore’ cristiano. Capigliatura e allaccio del mantello rimandano alla dea egiziana Iside. Insomma è un bel pasticcio, per noi che non conosciamo il culto di orientale che rappresenta. Però ci rivela una volta di più quanto fosse multietnica e cosmopolita questa strada che collegava tra loro i due luoghi più cosmopoliti di Roma, il quartiere di Trastevere e Porto.
Un progetto ambizioso
Da tre oggetti, dunque, si può ricostruire un quadro d’insieme della via tutta e della sua storia lunga e complessa. Nel piccolo catalogo, De Cristofaro la racconta per filo e per segno con lingua e argomenti chiari che spiegano a tutti anche il senso di fare archeologia oggi. Non stupisce che la prima tiratura di 1500 copie sia andata esaurita in pochissimi giorni.
Il Drugstore Museum ha realmente cambiato la vita di un quartiere di Roma che fino a ieri mancava di punti di riferimento. L’ha stravolta, forse, e lo farà ancora di più quando lì accanto si potrà visitare l’area archeologica di Pozzo Pantaleo, un lungo tratto basolato della via Campana con accanto un vero e proprio quartiere suburbano con una grande cisterna, una locanda e un impianto termale. Fino a ieri, l’area era dominata da una selva incolta in attesa di bonifica ambientale, visto che lì nel Novecento c’era una raffineria. Ora è stata bonificata, scavata e si progetta di farne un luogo con servizi per i cittadini.
Se la locuzione ‘sviluppo a base culturale’ ha un senso, non può essere che questo.
TRE STORIE DALLA VIA CAMPANA
Mostra
Roma, Drugstore Museum, via Portuense 317
fino al 18 giugno
aperto tutti i giorni 9-19, ingresso libero
Libro
a cura di Daniela Porro e Alessio De Cristofaro, Scienze e Lettere, 2023, pagine 176, euro 15
Festival
Tutti i weekend fino al 18 giugno. Il programma:
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