Anche i podcast museali hanno una madre. Un punto di svolta che li ha lanciati e a cui tutti in qualche modo si ispirano. È in realtà una trasmissione radio, ma riascoltata in podcast infinite volte, e copiata al punto da essere diventata un format. È la Storia del mondo in 100 oggetti realizzato nel 2010 da Neil MacGregor, allora direttore del British Museum, per BBC Radio 4. E il giorno di Natale 2020 è uscita una nuova puntata con l’oggetto dell’ultimo decennio.
Qual è? Non farò spoiler, almeno fino alla fine dell’articolo. Però è facile immaginare il tema, alla luce delle 100 puntate precedenti che hanno raccontato la storia e i problemi del mondo intero, passato e contemporaneo, a partire da 100 oggetti conservati nel museo. È stata (ed è) forse la più grande operazione di branding museale di tutti i tempi.
Il museo universale come brand
In un’epoca in cui la decolonizzazione è uno dei temi caldi anche nel mondo dei musei, e la formula del museo universale è messa in discussione da più parti, MacGregor con la sua trasmissione ne ha ribadito l’importanza e validità. Il British Museum è indispensabile non solo perché vi si trovano oggetti da tutto il mondo – come dicono i più – ma perché è l’unico luogo che consente di ripercorrere a piacimento la storia e le storie dell’intero mondo. Dalle origini a oggi, dall’Artide all’Antartide, dalle conquiste ai problemi alle connessioni agli scontri.
E consente così di capire quanto le storie di tutti noi siano interconnesse; di cogliere quanto ogni storia locale abbia senso solo se considerata all’interno delle dinamiche globali. Non a caso MacGregor conclude l’ultimo dei 100 podcast parlando di ‘famiglia dell’uomo’ dove tutti noi, da che mondo e mondo, abbiamo le stesse necessità, preoccupazioni, paure, speranze.
Siamo un solo pianeta, non tanti e diversi. Affondiamo o ci salviamo solo se uniamo le forze, anziché respingerci o sfruttarci a vicenda. È la grande idea del XXI secolo: l’idea che l’antropocene si è spinto troppo in là, e se non ci coalizziamo tutti e cambiamo rotta, faremo la fine dei dinosauri. Dobbiamo pensare alla sopravvivenza di tutti, nostra e del nostro pianeta. E tutto questo si può afferrare, nella sua complessità, solo in un museo universale come il British. Solo lì e non altrove.
Collezionare il presente
Con il podcast e l’oggetto 101, MacGregor ci porta addirittura dentro la macchina del grande museo universale. Prima prova a ragionare sui grandi temi dell’ultimo decennio assieme a personalità della cultura contemporanea. Ma il bagaglio di idee non basta a cogliere il senso di un’epoca. Gli oggetti, invece, ne sono il prodotto e al tempo stesso la plasmano, e ci sanno commuovere così da condurre le nostre menti dal concreto all’universale. Gli oggetti racchiudono in sé interi mondi.
MacGregor ci porta in giro per diverse sezioni del British per farci capire che un museo universale non smette mai di collezionare oggetti, così da trasmettere al meglio anche la memoria del presente. Ci mostra poi come al giorno d’oggi i musei lavorino in network: il British ha chiesto a musei di tutto il mondo di raccogliere ognuno le mascherine anti-Covid del proprio paese. Perché le mascherine non raccontano solo la pandemia ma, dalle loro diverse decorazioni, rivelano anche come ogni comunità ha saputo rappresentare se stessa, e come ciascuno di noi lo fa. La collezione di mascherine sarà veramente globale: rappresenterà la risposta dell’umanità intera alla pandemia.
Tutti sulla stessa barca
Qual è dunque la conclusione? Dopo aver meditato su primavere arabe e Black Lives Matter, smartphone e tute per sopravvivere ai freddi antartici, MacGregor è colpito da una serie di barche piccole e fragili realizzate da un artista siriano. Scolpite affinché il mondo, assuefatto com’è da troppe immagini di migranti, non finisca per dimenticarne il dramma. Le barche, dice MacGregor, non parlano solo dei migranti ma di tutti noi. Ci fanno capire che chi non li accoglie, rischia di affondare con loro. Perché stiamo tutti navigando in acque turbolente, spinti dalla paura e guidati dalla speranza, proprio come chi emigra. E ora il Covid ci ha mostrato la nostra fragilità e vulnerabilità. Tra emergenze climatiche, malattie, ingiustizie e guerre, “siamo tutti sulla stessa barca”.
È un bel podcast davvero, un ragionamento ampio e polifonico sul nostro essere al mondo oggi. Ascoltatelo che merita. Senza dimenticare, però, che abbiamo già sentito un discorso simile e ugualmente potente, nella sua universalità. Lo ha fatto Papa Francesco in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2019, inaugurando la scultura Angels Unawares dell’artista Timothy Schmalz, una grande barca con sopra migranti di ogni epoca e luogo. È ancora lì a piazza San Pietro. E continua a farci riflettere.
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