Nymphè non è un semplice marchio di gioielli perché “con Nymphè l’archeologia si indossa”. Parola della sua creatrice Nunzia Laura Saldalamacchia, giovane archeologa specializzata nella protostoria del Mediterraneo. Un dottorato a Innsbruck, attività in istituti di ricerca a Roma, Vienna e Napoli, ma anche una vita di arte.
Nei suoi gioielli mette tutta l’archeologia vera, quella scienza che ti spinge a stare seduto alla scrivania giorni interi per analizzare le fonti, e che ti fa alzare alle cinque di mattina per rimanere tutto il giorno chino a terra con la cazzuola. “Chi indossa un gioiello Nymphè sta indossando il prodotto di un lavoro scientifico” afferma. I gioielli sono insomma il modo in cui Nunzia Laura comunica l’archeologia. E anche il suo essere fieramente napoletana. Come esattamente? Ce l’ha raccontato.
Da dove nasce il nome Nymphè?
All’origine di Nymphè c’è l’ambra.
Tutto è cominciato alla fine del mio percorso di studi all’Università Federico II di Napoli dove mi sono laureata a febbraio 2012 con una tesi magistrale sulle fibule d’ambra. È stata una scelta quasi ovvia perché ho sempre visto l’ambra come la chiave di lettura della preistoria e della protostoria: era ovunque, dai commerci ai corredi funerari. Aveva importanza simbolica, culturale, economica.
Poi c’è il mito di creazione dell’ambra. Fetonte, il figlio di Helios, volle guidare il carro solare ma si avvicinò troppo alla terra rischiando di bruciarla, e così Zeus lo colpì con un fulmine. Le ninfe sue sorelle piansero a tal punto la sua morte che Zeus ebbe pietà di loro e le tramutò in alberi, lasciandole versare ancora lacrime in forma di stille d’ambra.
Ho deciso di usare la trascrizione latina del greco ninfa, ovvero Nymphē, ma ho cambiato l’accento: viene dal dialetto napoletano che ama aprire le vocali finali. Sono fiera che si senta il mio accento quando parlo. Se non fossi nata a Napoli non sarei mai arrivata dove sono ora, e non avrei mai conosciuto i miei maestri nell’arte dell’oreficeria: Paolo Costabile e Mario Triunfo.
Il logo invece si ispira a un’ambra lavorata nel periodo orientalizzante: un pendente inciso con un volto femminile tipico dell’epoca, ovale e con occhi a mandorla.
Il tuo interesse per i gioielli deriva proprio dalle fibule in ambra?
In verità non ho mai avuto interesse per i gioielli in sé: mi annoia solo l’idea di sfogliare i cataloghi degli altri produttori, anche se mi rendo conto che forse è un limite. Da sempre però ho una propensione naturale per il disegno, e da bambina mi spingevano persino a partecipare alle gare artistiche.
Credo che la manualità, insieme alla sensibilità artistica, siano le doti che mi facilitano in questo lavoro. Di certo sono sono qualità ereditate: mio nonno materno era orologiaio e un mio antenato dei primi del Novecento, Luigi Tammaro, era pittore di professione. Anche mio zio e mia madre sono abili nel disegno. E, a dirla proprio tutta, da piccola mi divertivo anche a creare collane con le pietre che trovavo in spiaggia. Credo che ancora oggi i gioielli siano per me solo uno dei tanti modi per esprimermi.
Com’è dunque che hai creato Nymphè?
Avevo bisogno di qualcuno che realizzasse dei modelli di fibule da presentare alla discussione della mia tesi e così ho conosciuto Paolo Costabile, maestro di oreficeria di Torre del Greco. Entrambi capimmo subito che non era una semplice commissione di un lavoro perché ero troppo compartecipe della sua, anzi, della nostra opera. Avevo di continuo domande sulla praticità della lavorazione dei metalli: si instaurò subito un rapporto mentore-allieva.
La storia prosegue con il dottorato a Innsbruck, per il quale ho perseverato con l’idea delle riproduzioni di fibule a fini di ricerca. Le prime le ho realizzate in DAS e fil di ferro, ma poi sono andata a Danzica dove ho acquistato le ambre grezze e così ho prodotto la mia prima collezione: una ventina di fibule. Fu difficile scegliere l’ambra più adatta, e lo è tuttora: quando è grezza ha ancora il cortice, la parte esterna più ossidata che ne nasconde il colore e il grado di trasparenza.
Così poi, andando per conferenze e musei in tutto il mondo, mostravo le mie fibule e tutti erano incuriositi ed entusiasti, e mi consigliavano di venderle. In uno scavo ho poi conosciuto Alessia e ho subito deciso che sarebbe stata la mia modella, oltre che grande amica.
Grazie dunque agli studi sui corredi ornamentali dell’età del ferro, Nymphè cominciava a vivere dentro la mia testa in modo sempre più delineato: un intero mondo nuovo per far rivivere quello passato. Mi dicevo: “appena consegno la tesi di dottorato faccio il primo campionario”.
Una volta tornata a Napoli, però, non fu facile: tornavo dopo anni di vita all’estero a casa dei miei genitori, senza lavoro e con la sola forza della mia visione. Il campionario richiedeva tempo, pazienza, costanza e i giorni trascorrevano fra disegni, creazioni di prototipi in cera, sperimentazioni di fusioni e lavoro di lima! Ma le coincidenze e gli incontri casuali mi spingevano ad andare avanti. Come è stato quando ho conosciuto il maestro Mario Triunfo, esperto nella tecnica di fusione a cera persa e di oreficeria antica etrusca.
Durante le mie ricerche mi ero imbattuta spesso nei famosi fratelli Castellani – orafi e antiquari a cavallo tra Ottocento e Novecento – e ho scoperto che uno di loro, andato in esilio a Napoli, era diventato maestro proprio del nonno di Triunfo. Le coincidenze sono tutto nella vita, sono loro a metterti sulla strada giusta.
E così il marchio ha preso vita.
Non proprio:avevo questa visione limpida nella mia testa ma nessun finanziamento, oltre agli sforzi miei e della mia famiglia. Avevo solo depositato il marchio.
È stato facile definire i soggetti: i miei gioielli sarebbero stati la rielaborazione di ornamenti del periodo orientalizzante, il mio ambito di specializzazione. Lavoravo duramente a mano sui prototipi, e studiavo per approfondire i soggetti scelti sapendo che i risultati sarebbero arrivati solo nel tempo.
Un traguardo è stato senza dubbio, nel 2017, la stampa del catalogo nel quale ho investito molto con un servizio fotografico professionale, e la mia amica Alessia che si è prestata a fare la modella. Era il mio biglietto da visita per proporre i gioielli Nymphè ai bookshop dei musei.
Valentino Nizzo, direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, è stato il primo a credere in questo progetto dopo una sola veloce occhiata al catalogo.
Quanto sono stati determinanti i tuoi maestri per ciò che sei ora?
I miei due maestri sono stati personaggi chiave nella mia storia. Non si è mai veramente soli in un percorso così. E nessuno di loro ha mai voluto una retribuzione diversa dalla passione condivisa.
Hanno in comune la generosità e l’eleganza d’altri tempi. Il maestro Costabile poteva sembrare un po’ più burbero all’apparenza, ma era tutto dovuto alla sua profonda genuinità. Per pochi giorni, non ce l’ha fatta ad assistere alla prima sfilata ufficiale di Nymphè al Museo di Calatia a Maddaloni, ma è rimasto e rimarrà sempre con me. Non a caso il mio primo catalogo è dedicato a lui.
Il maestro Triunfo condivide la sua stessa genuinità ma con una verve comica tutta partenopea. La sua saggezza ed esperienza donano a Nymphè quel quid che rende un gioiello davvero tale.
Ma anche altre persone hanno creduto in me e mi hanno offerto opportunità, a partire da Elena Laforgia, l’ex direttrice del Museo di Calatia di Maddaloni, che mi ha concesso di studiare molti reperti del museo e ha reso possibile la mia prima sfilata.
Nymphè non è l’unico marchio di gioielli ispirati all’antico. Cosa lo differenzia dalla concorrenza?
La mia formazione da archeologa. Nymphè non nasce solo da qualche lettura sporadica: c’è alle spalle una formazione professionale di anni. Tanti artigiani e orafi realizzano gioielli simili a quelli antichi con ottimi risultati dal punto di vista tecnico e formale, ma non potranno mai comunicare il senso dell’archeologia semplicemente perché non sono archeologi.
Io stessa mi considero un’archeologa con una buona manualità, ma non oserei mai paragonarmi ai miei maestri orafi. Mi sto ancora formando in questo ambito, e sto imparando anche a essere una brava imprenditrice in grado di valutare il design, la lavorazione e la qualità dei prodotti.
Tutto ciò che faccio nasce anche dalla consapevolezza di quanto la disciplina archeologica sia sottovalutata. Un articolo di protostoria è una sorta di formula algebrica: ci sono dati scientifici e interpretativi da sciogliere, diversi gradi di fonti da incrociare, occorre capire se siano certe o incerte, se serva il condizionale o l’affermazione. Tutto questo mondo è ignoto alla maggior parte delle persone. Con i miei gioielli cerco di trasmettere queste informazioni nel modo più semplice possibile: pochi concetti, ma basati sulla scienza. Anche le descrizioni del catalogo sono sunti di vere ricerche archeologiche. Nymphè è tutto questo.
I tuoi gioielli sono quindi copie fedeli degli originali?
Non sono e non potrebbero essere una riproduzione filologica di gioielli antichi: semmai in alcuni casi ne sono la loro versione rielaborata e indossabile. Spesso gli ornamenti trovati nelle tombe sono da parata: oggetti simbolici molto grandi e pesanti che non incontrerebbero il gusto attuale, oltre a essere impossibili da indossare. Bracciali e cavigliere possono pesare anche mezzo chilo!
E il fatto che il catalogo sia ispirato al periodo orientalizzante non è casuale: l’arte di quell’epoca prediligeva le linee geometriche e il minimalismo grafico, un gusto molto simile a quello contemporaneo.
Hai in mente di ampliare l’offerta del catalogo?
Sono già all’opera! La mia idea, che potrebbe svilupparsi in futuro, è una collaborazione con specialisti di altre fasi storiche. Mi spiego: se un archeologo mi commissiona un gioiello particolare, non gli faccio pagare il prezzo della prototipia, che sarebbe oneroso, in cambio delle informazioni scientifiche da inserire nella descrizione dell’oggetto.
In questo modo io ottengo un nuovo pezzo per la mia collezione, mentre il cliente ha il suo gioiello a un prezzo molto contenuto. E non solo: io guadagno in tempo prezioso e idee nuove, mentre chi mi commissiona l’opera riceve profondo rispetto per il suo lavoro di ricercatore.
Dove si trovano i tuoi gioielli?
Innanzi tutto nei bookshop dei musei: a quello del Museo etrusco di Villa Giulia a Roma, ma anche ai Parchi archeologici di Ercolano e Pompei.
Poi vorrei propormi ad altri musei come l’archeologico di Napoli, o a Firenze e Torino in Italia, e all’estero al British Museum, al Getty, il Metropolitan, il Fine Art, il Louvre… Per ora è un sogno ma ci credo fortemente.
Per me è importante che i gioielli in vendita nei bookshop siano strettamente legati ai reperti esposti, e che vi sia una chiara indicazione delle sale dove sono esposti.
Al momento vendo anche online su Etsy, e le foto dei gioielli si possono vedere sui profili Instagram e Facebook. I prezzi variano fra i 30 e i 250 euro.
Se pensi al futuro di Nymphè, cosa vedi?
Sicuramente il mio sito internet, www.nymphe.it, che sarà disponibile a breve. Poi Il marchio di fabbrica. Ci sarà presto anche il nuovo canale Youtube dove posterò i video dei backstage di produzione dei gioielli, così da coinvolgere i clienti incuriositi nelle procedure di creazione artigianale. E per ricordare a tutti che il lavoro manuale è duro, nessun gioiello cresce realmente sugli alberi a parte le ambre del mito.
Vedo e mi auguro in futuro una scelta più ampia di gioielli maschili: la mancanza di proposte per gli uomini è una mia lacuna che molti mi chiedono di colmare.
Progetto di incoraggiare altri archeologi ad arricchire le informazioni scientifiche sui gioielli con osservazioni e nuova bibliografia, così che Nymphè diventi anche sede di dibattito scientifico.
Sul certificato del gioiello vorrei inserire un codice QR che rimandi ai testi del sito internet, per rendere la lettura più immediata. Conto di usare Nymphè per far conoscere e proporre per la vendita anche i miei disegni archeologici: ad esempio ritratti al carboncino di donne con i gioielli in risalto a foglia d’oro o diversamente colorati.
Un prossimo sviluppo sarà dar vita a un ufficio di prototipia in cui coinvolgere esperti archeologi per produrre nuovi gioielli strettamente legati a ricerche scientifiche. Ciò che ora nasce dalle mie sole ricerche, vorrei si ingrandisse a tal punto da dare voce ad altri archeologi. Per diffondere le nostre conoscenze, il nostro lavoro, la nostra passione e la nostra arte tra le tante persone che sanno apprezzarli e che ne riconoscono il valore.
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