Questo pensava Pietro di Amiens, un uomo del contingente di Ugo di Saint-Pol, mentre risaliva le calme acque del Corno d’Oro a bordo di una nave veneziana. Più si avvicinava alle mura marittime di Costantinopoli, più crescevano nel suo sguardo la concentrazione e una certa cupidigia negli occhi. La croce rossa dei crociati risplendeva sul petto.
Al diavolo la croce, Pietro non era lì per risolvere conflitti teologici o politici, Pietro era lì per arricchirsi, e i bizantini avevano oro in quantità inimmaginabile.Tre giorni prima, l’assalto si era risolto in una netta sconfitta: le navi, pur dotate di scale, erano state respinte, e i lanci di pietre degli assediati avevano mietuto moltissime vittime. Come se non bastasse si erano pure dovuti sorbire le grida di scherno e i fondoschiena dei greci esposti al vento.
L’esercito latino non avrebbe retto psicologicamente un’altra sconfitta, Pietro ne era certo. Ma non doveva accadere, non poteva accadere. Era quasi un anno che l’esercito crociato si trovava a Costantinopoli, ma Pietro di oro ne aveva visto ben poco. Dal loro arrivo, invece, di imperatori bizantini ne erano cambiati già tre: i crociati avevano deposto il traditore Alessio III e rimesso sul trono il fratello Isacco II, ormai vecchio e cieco, insieme al figlio Alessio IV. Era stato proprio Alessio a far cambiare obiettivo ai crociati: Pietro era partito dalla Francia per l’Egitto ma si era ritrovato a Costantinopoli. A Venezia questa nuova destinazione non dispiaceva affatto, e con l’aiuto militare delle truppe crociate in cambio delle sue navi il gioco aveva funzionato.
In barba alla croce, la Serenissima non sarebbe mai stata sicura delle sue posizioni di monopolio nel Mediterraneo orientale finché a Costantinopoli avesse regnato un imperatore bizantino. Ma in fondo a Pietro le macchinazioni del doge Enrico Dandolo e del capo dei crociati Bonifacio del Monferrato interessavano fino a un certo punto.
Pietro voleva solo entrare a Costantinopoli per saccheggiarla.
Alessio IV aveva promesso un’enorme quantità di denaro ai crociati per averlo rimesso sul trono, ma i soldati quel denaro non l’avevano neppure visto. Per giunta, quando a inizio anno la popolazione di Costantinopoli non fu più in grado di pagare le tasse, acclamò imperatore un altro Alessio, della famiglia imperiale dei Ducas. Costui uccise Alessio IV e Isacco II, prese la porpora e si rifiutò di continuare a pagare i capi della crociata.Marionette. Vere e proprie marionette nelle loro mani erano stati questi ultimi due imperatori della famiglia degli Angeli. Erano rimasti sul trono solo per il benestare dei capi crociati, pensò Pietro. E questo benestare era durato troppo a lungo.
Alessio Ducas, invece, era di un’altra pasta. Li aveva sfidati e pure sconfitti in qualche scaramuccia: era furbo e orgoglioso. I greci lo chiamavano Murzuflo, “dalle sopracciglia folte”. Quando il doge Enrico Dandolo aveva indetto i colloqui di pace sulla spiaggia di Cosmidio, Pietro aveva visto con i suoi occhi quanto quel soprannome fosse appropriato. Furbo, però, in quell’occasione non era stato: avrebbe dovuto immaginare che il colloquio fosse una trappola ordita da Dandolo per catturarlo. Un bizantino non si poteva fidare di un veneziano. Murzuflo però riuscì miracolosamente a fuggire e a organizzare la difesa.
Li vedeva i bizantini, Pietro. Li vedeva al riparo di quelle mura che in ottocento anni non erano mai state oltrepassate dal nemico, e che Murzuflo aveva fatto innalzare ulteriormente con delle travi. Arroccati sulle torri erano certi che sarebbero riusciti a respingerli anche quel giorno.
Pietro non aveva nessuna remora a ucciderli tutti. Ricordava bene le parole che avevano usato i vescovi nell’ultimo sermone prima dell’attacco. La guerra era giusta, i greci andavano attaccati in quanto si rifiutavano di obbedire alla fede romana e anzi, non si facevano problemi a chiamare “cani” i cattolici. I greci erano degli assassini e anche dei traditori, visto che avevano ucciso il loro imperatore. La conquista poteva avere inizio, il papa avrebbe assolto i loro peccati.
La battaglia iniziò e il rumore fu talmente forte che ai bizantini sembrò che la terra si muovesse. Intorno a mezzogiorno due navi, la Pellegrina e la Paradiso, si avvicinarono a una torre, una da una parte e una dall’altra. Solo le acque calme del Corno d’Oro potevano permettere di accostarsi, sul Mar di Marmara le correnti avrebbero allontanato le navi. Sotto una pioggia di proiettili d’ogni tipo, i crociati issarono le scale e due cavalieri, un veneziano e un francese, riuscirono miracolosamente a saltare sulla torre.
I bizantini furono colti di sorpresa da questo attacco multiplo: l’errore del tentativo di tre giorni prima era stato di aver attaccato una torre con una sola nave, agevolando così il compito dei difensori. A seguito di una lunga discussione, i capi crociati avevano deciso di cambiare strategia e questa volta i bizantini non riuscirono a respingere l’assalto; non erano in numero sufficiente per fronteggiare un attacco così massiccio. Con un’azione ben orchestrata, i crociati avevano preso la torre.Mentre andava in scena l’attacco alla torre, Pietro scese a terra con un manipolo di uomini scelti, dieci cavalieri e sessanta soldati. Dovevano raggiungere una postierla alla base delle mura marittime, recentemente murata dai bizantini, e cercare di aprirsi un passaggio attraverso di essa. Pietro sapeva che era un’azione estremamente pericolosa, ma si sarebbe posto in una posizione di vantaggio se fosse stato tra i primi ad entrare nella città.
Appena i bizantini notarono dalle mura la loro azione, capirono immediatamente cosa stava accadendo. Scaraventarono subito giù una cascata di pietre, e con esse pece bollente e fuoco greco.
Urla, boati, sangue. Nel frastuono generale, Pietro aveva perso il controllo della situazione e non capiva esattamente cosa stesse succedendo. Si rese solo conto che alcuni dei suoi uomini stavano smantellando con successo la muratura mentre il resto dei soldati riusciva miracolosamente a proteggerli.
Dopo un lasso di tempo che sembrò infinito, si aprirono un varco nella postierla; il gioco era fatto. O quasi. Pietro non aveva alcuna intenzione di entrare per primo. Una cosa è essere un cavaliere coraggioso e senza paura, un’altra è decidere di andare incontro a morte certa. Dal lato opposto i bizantini li stavano aspettando e il primo che si fosse presentato al loro cospetto sarebbe stato ripetutamente colpito.
Anche in questa occasione riuscì a trascinare il drappello di crociati dentro Costantinopoli. Infervorati nel loro incedere, con in testa Aleamo, i crociati spaventarono i difensori che, non appena li videro, lasciarono sguarnito un ampio settore di mura, badando soltanto a fuggire e mettersi in salvo.
Pietro era entrato a Costantinopoli, la regina delle città, erede di Roma e della civiltà antica, la città cristiana che non era mai stata conquistata in ottocento anni, che aveva resistito agli attacchi degli Avari, dei Persiani, degli Arabi e dei Bulgari.
Costantinopoli era caduta sotto l’attacco di un esercito cristiano. E Pietro era pronto a iniziare il saccheggio.
Le fonti principali:
Per approfondire:
Commento di Tommaso Braccini
Tommaso BracciniInsegna Filologia classica presso l’Università di Torino, è autore di numerosi articoli, monografie e curatele sulla storia bizantina tra cui con Silvia Ronchey, l’edizione italiana de Il mondo bizantino II. L’Impero bizantino (641-1204), Il mondo bizantino III. Bisanzio e i suoi vicini (1204-1453), Il romanzo di Costantinopoli. Guida letteraria alla Roma d’Oriente (2010) e Il libro delle meraviglie di Flegonte di Tralle (2013, con Massimo Scorsone).
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