La favola di Palmira
Deve fare qualcosa, il grande vecchio che ha dedicato l’intera vita allo studio di quei luoghi antichi. Prende la penna e scrive. Racconta la storia di Palmira con la sua prosa elegante e limpida, così come un nonno racconterebbe una favola ai nipoti. Risponde alle distruzioni con la sua personale ricostruzione delle vicende che hanno reso grande la città, e una descrizione accorata e partecipata dei luoghi e delle persone. Soprattutto, però, rende palpabile quello spirito di “libertà, anticonformismo e multiculturalismo” che ha sempre pervaso l’oasi mercantile di Palmira, Sposa del deserto. Perché a Palmira convivevano placidamente spiriti diversi: l’origine aramaica, l’organizzazione tribale, la cultura greco-romana. Era un ibrido, e non solo nell’arte peculiare che tutti conosciamo.
È proprio questa apertura, dice Paul Veyne in Palmira. Storia di un tesoro in pericolo, che Daesh non poteva tollerare. Nella città-simbolo della convivenza, Daesh ha voluto cancellare tutto quel che di convivenza parlava. E ha voluto anche colpire al cuore la venerazione tutta occidentale – ed esportata ovunque dall’occidente – per i monumenti del passato. Perciò forse poco importa se, scrivendo, il grande vecchio carico d’anni a volte si contraddica, si ripeta, infili qualche errore, ignori i risultati delle ricerche più recenti (e pare che neppure in Francia i bravi editor esistano più). Poco importa anche che il traduttore abbia aggiunto altri errori: chi conosce Palmira riaggiusta facilmente le informazioni. Resta però il piacere di leggere una bella favola e, leggendola, di chiudere gli occhi e immergersi nel clima imperiale romano del tempo in cui Palmira, con la grande Zenobia, aspirò persino al governo del mondo.
Serve davvero ricostruire?
Ecco, è impossibile non rammentare l’elegante omaggio di Paul Veyne a Palmira mentre a Roma al Colosseo, per la mostra Rinascere dalle distruzioni, si ammira la ricostruzione fisica, in scala 1:1, del soffitto del grande tempio di Bel, principe delle divinità palmirene. Una ricostruzione perfetta, capolavoro di abilissimi artigiani italici che hanno saputo riprodurre i più minimi dettagli della decorazione. Ma cosa ci dice davvero, quel soffitto solo e sperduto, della Palmira antica o di quella odierna? Cosa ci dice il grande toro della Nimrud assira, anch’esso ricostruito al Colosseo? E la sala dell’archivio di Ebla ci rappresenta davvero la potente città siriana? Certamente no.
Visti così isolati, per quanto perfetti, spettacolari e scenograficamente esposti, sono solo copie di frammenti da cui non scaturisce favola. Dicono di rappresentare una risposta alla barbarie umana che scientemente uccide persone, cose, tradizioni, memorie. Affermano la volontà di ricostruire quelle gloriose memorie, quando la cessazione del conflitto lo permetterà. E realizzati per volere di Francesco Rutelli e della sua Associazione Incontro di civiltà, con la consulenza scientifica di Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla, e grazie a fondi della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, avanzano una candidatura forte e autorevole per la ricostruzione che verrà. Però ci chiediamo: servirà davvero ricostruire tutto com’era e dov’era? È la reale priorità? In fondo, quelle antichità sono frutto di scavo e restauro moderni, e il paesaggio che hanno creato non è quello della Palmira di Zenobia, ma un paesaggio di rovine moderno. Non è forse il nostro un accanimento a ricostruire, quasi come Daesh si accanisce a distruggere.
Come gli amanuensi medievali copiavano i manoscritti antichi per tramandarli, noi oggi ci affanniamo a conservare e copiare tutto quel che abbiamo. Attribuiamo agli oggetti soli la capacità di conservare la memoria, e ci illudiamo che le tecnologie moderne ci consentano di renderli eterni. Ma anche gli oggetti hanno una vita e sono plasmati dal tempo: non raccontano mai la stessa identica storia. Il passato è passato, è dietro le nostre spalle oramai, non lo potremo mai rivivere. La nostra ansia di conservazione e ricostruzione non troverà mai soddisfazione piena. Meglio dunque placare i nostri animi e guardare con più distacco alla cose. Conservare, certo, e ricostruire anche, ma senza l’ansia di recuperare un’interezza che non potrà mai essere. È assai più realistico vivere il presente usando il passato con selettiva memoria quando “l’attualità ci interroga”, come ha scritto Veyne. Perché se l’attualità preme, il passato acquista per noi un valore profondo e ne traiamo vero e utile insegnamento. Proprio come quando, dinnanzi a un grande vecchio, ascoltiamo rapiti una bella favola.
Paul Veyne
Palmira. Storia di un tesoro in pericolo
Garzanti, pagine 108, euro 15,00
Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira
a cura di Francesco Rutelli e Paolo Matthiae
Roma, Colosseo, fino all’11 dicembre 2016
Info: www.coopculture.it
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