La versione di Agamennone
Giulio Guidorizzi, per il suo ultimo libro, ha scelto Agamennone per raccontare il mondo degli eroi omerici. Ecco la nostra recensione
Quando un re acheo muore e il sonno eterno non ha ancora alterato troppo i suoi lineamenti, un orefice modella sul volto del defunto una maschera d’oro, i parenti celebrano sacrifici, le donne cantano lamenti funebri e le spose si tagliano la gola per seguire il proprio uomo nella morte.
Poi, è la volta degli aedi. Sono loro gli specialisti della memoria, coloro a cui spetta il delicato compito di connettere il passato con il presente, restituendo l’udito alle cose sorde e la vista a quelle ormai cieche. Tuttavia la memoria è un bene troppo prezioso perché possa essere imprigionata nella scrittura, ed è per questo che gli aedi affidano soltanto alla propria voce il racconto dei miti e delle storie degli eroi antichi, affinché tutti ricordino e continuino così a esistere.
La Maschera di Agamennone rinvenuta nel 1876 a Micene dall’archeologo tedesco Heinrich Schliemann (Museo Archeologico Nazionale, Atene).
Agamennone, Menelao, Achille, Diomede, Ulisse e poi Ettore, Paride: sono loro i protagonisti di queste storie, i personaggi resi immortali dai poemi omerici e che ora rivivono nell’ultimo libro di Giulio Guidorizzi Io, Agamennone. Gli eroi di Omero. Una straordinaria rivisitazione delle vicende narrate da Omero nell’Iliade viste attraverso gli occhi dell’eroe forse meno affascinante tra tutti, ma senza dubbio il più lucido: il “possente Agamennone.”
Copertina “Io Agamennone”
Quello di Guidorizzi è un libro che si legge dalla prima all’ultima pagina senza riuscire a staccarsene. Si avverte la sensazione di essere stati irrimediabilmente catturati nelle maglie del racconto e di essere così emotivamente travolti da non riuscire a venirne fuori, ma anche di essere condotti dall’autore ben oltre la superficie evenemenziale della guerra omerica, giù nella profondità e complessità della psiche degli eroi.
Al di là degli eventi a tutti noti – il rapimento della bella Elena, il risentimento di Menelao, lo scoppio della guerra decennale sulla piana di Troia, i duelli e le morti atroci dei più valorosi tra gli Achei e tra i Troiani – ciò che conta davvero è cogliere fino in fondo la volontà dei combattenti di lasciare una traccia del proprio passaggio sulla terra. “Tornare nel nulla dopo una brevissima vita luminosa senza essere ricordati, è come non essere mai nati.”
Gli eroi di Omero sono ossessionati dall’aidós, dalla vergogna che, ben lungi dal paralizzarli e costringerli all’immobilismo, li spinge semmai ad agire e a ingaggiare ciascuno una battaglia con il proprio destino, pure nella consapevolezza che nessun’arma potrà sconfiggere la moira. E allora ben venga la morte, purché però si trasformi in gloria eterna attraverso il racconto.È dunque la memoria il tema principale del libro, a partire da quella personale di Agamennone che Guidorizzi innalza a cantore privilegiato della guerra.
Tra tutti i personaggi di Omero, Agamennone è forse il meno amato. D’altronde, come si potrebbe provare simpatia per un uomo che, alla vigilia della partenza per Troia, non esita a sacrificare sua figlia Ifigenia pur di conquistarsi il favore degli dèi, che per pura ripicca sottrae l’amata schiava Briseide ad Achille, e che sceglie Cassandra come sua preda d’onore trascinandola, suo malgrado, in un atroce destino di morte?
Agamennone, uno sguardo obiettivo sulla guerra di Troia
Eppure Guidorizzi non avrebbe potuto scegliere sguardo più obiettivo per ripercorrere a ritroso i momenti cruciali della guerra di Troia. E al di là dell’immagine di sovrano prepotente e borioso, il lettore scopre con sorpresa che Agamennone coltiva in fondo all’anima qualcosa di dolce che lo fa piangere senza vergogna alla vista del fratello Menelao ferito, e che gli fa riconoscere, pur senza qualche difficoltà, di aver sbagliato con Achille perché accecato dalla rabbia.Dal primo capitolo dedicato agli antenati di Agamennone – Pelope, Enomao e Ippodamia – fino al momento in cui Achille decide di scendere di nuovo in campo per vendicare la morte dell’amico Patroclo, il racconto è incalzante e di una velocità tale da lasciare quasi senza fiato. È una carrellata continua di attacchi e di duelli, di eroi contrapposti ad altri eroi, è uno spargimento di sangue senza sosta da parte di uomini che sembrano animati solo da un’ira cieca e da un odio smisurato.
C’è qualcosa di ancestrale e di animalesco in Achille che dopo aver ucciso Ettore, non pago, oltraggia con insistenza il suo cadavere, legandolo al carro e facendolo trascinare nudo attorno alla pira funebre di Patroclo. Uno scempio a cui persino Agamennone si rifiuta di assistere, perché un simile atteggiamento “non si addice a un uomo che ha salda la mente.”Non c’è solo pólemos, tuttavia. I personaggi omerici sono capaci anche di sentimenti positivi: l’eros, l’amore, la philía. Ed è proprio nel tratteggiare la forza emotiva di eroi e di circostanze che la scrittura di Guidorizzi si fa più densa, quasi lirica. Quando Priamo entra nella tenda di Achille, si prostra ai suoi piedi e ne bacia le mani – le stesse mani che hanno ucciso suo figlio – e lo implora di restituirgli il corpo, noi lettori siamo lì, bloccati in un silenzio surreale e incapaci di proferire parola, a scrutare una scena che ha dell’incredibile.
Due uomini, divisi da una guerra e da tante morti, che si scrutano e si riconoscono perché entrambi hanno sofferto, e in quel momento tutte le barriere cadono e prevale la necessità della condivisione del dolore. “Vede Priamo che singhiozza aggrappato a lui. E allora gli nasce una gran voglia di piangere il padre. Prende il vecchio per una mano e lo fa alzare dolcemente. Lo abbraccia, stringe il suo viso e le loro lacrime si mescolano cadendo sulle vesti.”Ora è la guerra è davvero finita, ma la saga degli eroi omerici continua. Le navi sono pronte a salpare, ciascuna verso il porto da cui è partita. Agamennone si accinge a tornare a Micene, ignaro che presto troverà la morte per mano di sua moglie Clitemnestra e dell’amante di lei Egisto.
Perché nessuno può davvero sfuggire al proprio destino, e gli déi non faranno nulla per impedirlo. L’unica cosa da fare è accettarlo senza subirlo, non lottare per evitarlo ma per accoglierlo, smettere di interrogarsi e cercare piuttosto le risposte giuste.
Forse, a distanza di secoli, c’è ancora qualcosa da imparare dalla lettura di queste storie, perché in fin dei conti c’è dell’eroico in ciascuno di noi.
Giulio Guidorizzi
Io, Agamennone. Gli eroi di Omero
Einaudi 2016, pagine 198, euro 14
Uomo di potere, abituato a decidere le sorti della sua gente, orgoglioso, superbo, duro, Agamennone è solo nel buio della notte mentre, oltre la prua, scruta l’orizzonte. E ricorda i dieci anni di una guerra sanguinosa che ha visto cadere sul campo di battaglia uomini valorosi e forti, sprezzanti del nemico e del destino. Con uno sguardo meno affascinante di quello di Ulisse e Achille ma piú complesso e obiettivo, il re di Micene ci porta dritti al centro del mondo omerico: i suoi eroi, i suoi valori, il suo senso della gloria e della vendetta, dell’amore e della morte. Spinto dal gusto e dal piacere del racconto, e guidato dal rigore filologico, Guidorizzi, attraverso una forma saggistica di tipo narrativo, ricostruisce la storia di una società tribale, in cui ogni uomo agisce dietro l’impulso di una sfida continua con le grandi forze dell’esistere e ci restituisce, dall’interno, il fascino di una cultura che parla a noi di noi.
«Ma chi sono gli eroi? Molte delle loro vite sono finite nella pianura di Troia; i loro corpi sbranati da cani e avvoltoi. Da allora non hanno piú abbandonato la memoria della nostra civiltà. Erano comandati da un uomo che regnava su una città difesa da mura gigantesche, Micene, un nido d’aquila in cui avvennero crudeli vicende. Nessun altro portò a Troia tante navi come lui, tanti soldati e carri da guerra. Cento navi piene dei guerrieri piú forti, scelti dalle sue molte città; che Agamennone guidava combattendo, avvolto nella sua armatura di bronzo rilucente nel sole. I cantori ricordano ciò che è accaduto, il bello e il brutto insieme. E ricordano il re Agamennone».
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Fino a qualche anno fa era un’archeologa come tante, divisa tra scavo e ricerca. Poi ha provato a unire le sue passioni: l’archeologia, i libri, la didattica. E allora è diventata un’archeologa che scrive storie, che si sporca le mani di terra assieme ai bambini, che ogni giorno s’inventa il modo per comunicare a grandi e piccoli la bellezza del nostro patrimonio.
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