Nell’immaginario della maggioranza, Venezia nel Settecento è una specie di casa di bambola, abitata da damine e cicisbei che vagano nelle calli e nei campielli baruffando con grazia, con cadenze goldoniane. Un mondo elegante e superficiale, fatto di intrighi d’amore, pettegolezzi delle donne, vacanze in campagna dove la massima tragedia è l’orlo di un vestito troppo lungo per essere ancora alla moda. Una società scapricciata e leggera, che per uno di quegli inspiegabili incidenti della storia viene spazzata via in un fiat quando soffiano all’improvviso i venti impetuosi della Rivoluzione francese, e la Serenissima, da sempre sovrana e autonoma, viene conquistata e ceduta agli Austriaci da quel buzzurro di Napoleone, come un arnese vecchio che non serve più.Poi un giorno, secoli dopo, si riapre l’ala di un antico palazzo, si scrostano muri offuscati dal tempo, affreschi, stucchi, e la prospettiva cambia. Riemergono dalle pietre particolari di vite e di abitudini, storie che erano state dimenticate: sette segrete, logge massoniche, decori che sono cifrari esoterici, fermenti di rivoluzione, riforme abortite che non poterono cambiare il corso degli eventi, ma se le cose fossero state appena appena diverse, chissà.
Un cantiere durato più di cento anni fra costruzioni e ristrutturazioni
Palazzo Pisani è in campo Santo Stefano, nel cuore di Venezia, ad un passo dal ponte dell’Accademia. Non passa giorno senza che dalle severe vetrate seicentesche filtrino nel campo e nelle calli attorno echi di musiche e gorgheggi. È dai primi del Novecento la sede del Benedetto Marcello, Conservatorio della città, e ora anche del Museo della Musica della città, che raccoglie una collezione di antichi strumenti e cimeli di grandi musicisti, come Wagner, Verdi, Wolf Ferrari e Malipiero.
Ma prima? Prima era la casa del ramo principale della famiglia Pisani, nobilissimi homini della Serenissima fin dai suoi albori. Mercanti accorti e condottieri coraggiosi, grandi arbitri delle sorti della città dal Cinquecento al Settecento. Una parata di Dogi e di Capitani da Mar che sapevano coniugare l’impegno politico con la sagacia nel guadagnar schei, la vera cifra dell’antico aristocratico veneziano. Quando sul finire del Cinquecento decisero che la famiglia aveva diritto a una magione affacciata sul Canal Grande, non lesinarono quattrini: comprarono diversi lotti e abbatterono altri edifici per costruire un palazzo che potesse rivaleggiare con quello dei grandi re d’Europa, come una vera reggia sarà anche la villa di famiglia a Stra, lungo il fiume Brenta. Un cantiere, quel palazzo, che si protrae fra costruzioni e ristrutturazioni per più di cento anni: comincia nel 1614, quando Alvise Pisani decide di non rivolgersi a un architetto, ma di seguire lui stesso progetto e lavori, e poi continua, con il susseguirsi delle generazioni, fino al 1728, quando Gerolamo Frigimelica ci mette mano, mentre progetta anche la Villa di Stra.
Poi, alla fine del Settecento, è un altro Alvise Pisani a ristrutturare tutto, creando una serie di vani più piccoli e di nuovi appartamenti. Solo che, pulisci e restaura, togli via la polvere di secoli e anche qualche mano di calce data maldestramente qua e là, quello che viene fuori dall’ala di Alvise è ben strano. Non un appartamento nuziale, ma qualcosa di più complesso e misterioso: un luogo dedicato al culto massonico e alle riunioni di una loggia. Che i Pisani fossero massoni, si sapeva da sempre, ma fino a ora non si era capito la profonda influenza che l’adesione alla massoneria esercitò sulla famiglia. Nei primi anni del Settecento le associazioni dei “Liberi Muratori” erano molto chic a Venezia come nel resto d’Europa, e lo stesso Goldoni più volte nelle sue commedie ne parlò come di “club” dove si riunivano intellettuali e personaggi alla moda. Il tour in città di Giuseppe Balsamo, sedicente conte Cagliostro, fu un evento mondano. Caterina Zen Tron, bellissima aristocratica famosa a Venezia per le sue ricchezze a la sua vita libertina, lo invitò, lo protesse e lo aiutò a diffondere la sua particolare interpretazione della Massoneria, legata al “rito egizio”.
L’ala nuova di Palazzo Pisani, costruita attorno al 1730, fu ornata e concepita come un itinerario massonico e sincretico, con una piccola cappella in cui, di fronte a un altare cristiano, c’era addirittura un abside decorato con i simboli del credo iniziatico: la scala della conoscenza, l’albero della vita, la fontana della sapienza, e una sala di adunanza con quattro porte e i quattro elementi dipinti (fuoco, terra, aria e acqua). Sui muri e sui soffitti, altri richiami all’iconografia massonica: allegorie della Giustizia e della Sapienza con in mano la pannocchia e il melograno, i due frutti che simboleggiano l’unione dei fratelli muratori, uguali fra loro come i chicchi del melograno e del mais. Fuori dalla sala di adunanza si trovano due colonne rimaste a vista e non inglobate nel muro, che forse segnavano il percorso del vero e proprio “tempio massonico”, dove gli iniziati celebravano i loro riti segreti. La stanza oggi è spoglia e coperta da un controsofitto più recente, ma proprio questo potrebbe nascondere ancora una volta decorata con stelle, che è ricordata da talune fonti come tipica dei templi massonici.
Congiure e intrighi politici?
Innovatori e forse rivoluzionari, i Pisani si distinsero durante il crepuscolo della Repubblica per il loro amore per le idee riformiste. Fu un Pisani (anche se di un ramo secondario della famiglia), Giorgio, ad attaccare a testa bassa il Maggior Consiglio alla fine del Settecento, lamentando la neghittosità con cui gli aristocratici al potere affrontavano la crisi economica e le pratiche poco trasparenti con cui il Consiglio dei Dieci continuava a gestire lo Stato. Riuscì a farsi eleggere Procuratore di San Marco, ovvero la carica più alta dopo quella del Doge. Cosa curiosa, il suo biglietto da visita, fatto stampare per la vittoria, riportava come immagine quella di un genio che si fa guidare da una stella. Forse proprio quella Sirio che era guida dei Massoni e la cui luce era venerata nelle riunioni delle logge in casa dei cugini?
Purtroppo il suo tentativo di rinnovamento della Repubblica ebbe vita breve. Entrato in carica l’8 marzo del 1780, già il 31 maggio venne arrestato e segregato nel castello di San Felice a Verona e poi a Brescia, e sarà liberato soltanto alla caduta della Repubblica. Il reato che gli veniva contestato era di aver dato origine ad una vera e propria “società pisanesca”, una loggia in cui si tramava contro il Governo.
I corridoi e gli stucchi di Palazzo Pisani saranno stati silenziosi testimoni di queste congiure, scenari di intrighi politici della languente Serenissima destinata a scomparire? I simboli alchemici dipinti sui muri e sui soffitti avranno ispirato i tentativi di questi rivoluzionari e riformatori, poi presi in contropiede e travolti essi stessi dalla Rivoluzione vera e dall’ingordigia napoleonica? Non lo sappiamo con certezza, ma ora, riemersi dalle nebbie del tempo, meritano una visita che consente di immergersi per un attimo nell’atmosfera di un’epoca più politicamente impegnata e meno sfavillante, leggera e svagata di come ce l’hanno raccontata finora.
In copertina: Conservatorio di Venezia © veneziaedintorni.it
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